Un viaggio alla scoperta del rock made in Italy con uno dei pionieri di questo genere musicale: Ricky Gianco. Musicista di grande talento, dopo un’iniziale collaborazione con Adriano Celentano – per il quale ha scritto brani diventati celebri come Stai lontana da me, Pregherò, Tu vedrai, Sei rimasta sola e Pasticcio in Paradiso – ha composto canzoni anche per altri grandi nomi della musica italiana come, solo per citarne alcuni, Mina, Patty Pravo, Peppino Di Capri, Little Tony, Bobby Solo e molti altri.É stato inoltre l’autore di numerose cover italiane di brani stranieri targati Beatles, Chuck Berry, Cat Stevens e Bob Dylan. Gianco non è un volto nuovo a Musicultura, era infatti già stato ospite del Festival a Recanati nel 1992, ed è tornato per calcare il palco del Teatro Lauro Rossi di Macerata e intrattenere il pubblico con un concerto in cui ha ripercorso i brani più famosi della sua carriera: Un Amore, Parigi con le gambe aperte, Compagno si, compagno no, compagno un cazzo.
Per lei non è la prima volta a Musicultura: com’è stata la sua esperienza iniziale al festival?
Essere qui mi fa davvero molto piacere perché ho un bellissimo ricordo di questo festival. È una manifestazione seria, lo stesso nome fa comprendere l’importanza e l’attenzione particolare che qui si danno alla cultura, in un momento in cui purtroppo sembra essere ritenuta sempre più inutile e da gettare. Ricordo che quando venni per la prima volta come ospite di Musicultura, molti anni fa a Recanati, la sigla che era stata scelta per quella edizione era un mio pezzo che avevo registrato a Los Angeles con i Toto e i Tower of Power, una scelta che mi fece un piacere enorme, per cui sono molto contento di essere tornato.
Lei è stato definito uno dei padri del rock made in Italy: com’è stato essere uno dei pionieri di questo genere musicale, per altro così controverso?
Ma perché controverso? In fondo è nato tutto da lì, io parto proprio da lì, dal rock, perché dopo il rock and roll c’è stato il beat, e a seguire l’hard rock, il metal, il punk; si è continuamente evoluto come genere, ma tutto è partito da esso. Anni fa dissero che il rock era morto e invece non è così. Il giorno in cui ciò dovesse accadere vorrà dire che verrà fuori qualcosa di nuovo, di stravolgente, ma cambiamenti simili non nascono perché qualcuno li pensa, vengono fuori da una situazione sociopolitica ed economica di un paese, come qualsiasi altro movimento artistico in generale.
Dunque, secondo lei, oggi che cos’è il rock?
Il rock ormai è qualcosa di cui tutti si sono appropriati; inizialmente era un genere musicale solo americano e anglosassone, poi si è cominciato a suonarlo anche negli altri Paesi, compresa l’Italia, e ha cominciato a trattare anche di politica. È una via per comunicare, basti pensare a Paesi come la Turchia, l’Iran o la Russia, dove gli artisti che cercano di esprimersi con un simile genere incorrono anche nella censura.
Durante la sua carriera lei ha scritto moltissime cover di brani di artisti rock stranieri come i Beatles, Bob Dylan, Cat Stevens: quanto c’è di lei in questi testi e quanto c’è degli artisti originali?
Non c’è nulla degli artisti originali, in tutti i testi che ho scritto la musica mi ha sempre aiutato, ho scritto basandomi sulle immagini che mi evocava, ma non ho mai guardato i testi originali perché non era un lavoro di traduzione quello che mi interessava fare. Tra tutte le cover che ho scritto, ho cantato quelle basate su due brani dei Beatles, perché ho avuto modo di conoscerli a Londra, stando un pomeriggio con Lennon e McCartney al Teatro Astoria, alla fine del ‘64: due personaggi fantastici. Più intellettuale, ironico e sarcastico il primo, più musicale ed estroverso il secondo.
Lei ha scritto canzoni anche per altri artisti: com’è scrivere per sé e com’è scrivere per un’altra persona?
Io quando scrivo non lo faccio pensando a me o a un altro, in realtà a volte non so neanche come faccio a scrivere. Almeno per quanto riguarda la musica sono dei momenti magici in cui sento il bisogno di esprimermi. Le parole dei miei testi invece sono più determinate da un fattore psicologico. Quando per esempio ho scritto la canzone “Un amore” è stato terapeutico, mi sono ritrovato a scriverla di getto in una notte e poi mi sono sentito meglio. Oppure ci sono dei fatti o dei momenti che voglio riprodurre, come fa un pittore. Forse l’unico brano che ho scritto pensando al cantante è stato quando ho prodotto Demetrio Stratos con i Ribelli e ho composto la canzone Pugni chiusi per la sua voce incredibile.