INTERVISTA a Paola Minaccioni: una mina vagante

Paola Minaccioni è, per sua stessa ammissione, iperattiva. “Non so stare senza lo stress”, ci confessa all’appuntamento A tu per tuorganizzato dal laboratorio La Controra. Ci fidiamo, visti gli impegni in radio, televisione, cinema, teatro e cabaret. Un’artista poliedrica che si presenta subito per come sembra: diretta, simpatica, decisa e piena di energia. Ha le idee chiare sul suo lavoro, sa cosa vuole fare e con chi vorrebbe collaborare. Durante l’incontro delizia una divertita platea con alcuni dei suoi personaggi comici più famosi, mostrando chiaramente la spontaneità e la naturalezza con cui il suo lavoro si crea e sviluppa. Divertente, quindi, ma non solo: Paola Minaccioni è capace di una profondità agrodolce e di venature tragicomiche che si accompagnano alla sua idea di recitazione e al suo credo teatrale sull’importanza dell’approfondimento psicologico del personaggio. Sfumature e varietà si incontrano e danno vita ad un’artista che, semplicemente, riesce in tutto quello che fa e non dovrebbe essere inquadrata e limitata solo alla sfera comica. L’abbiamo intervistata per voi:

La sua esperienza radiofonica diversifica il suo curriculum di attrice da altri. Quanto è riuscita  a riutilizzarla nel suo lavoro televisivo e cinematografico?

Mi ha aiutata molto. Intanto perché in radio non si può fare finta: devi avere qualcosa da dire, dato che vale e vince la parola. Nella mia esperienza come attrice e conduttrice devo dire che questo particolare ha fatto la differenza, anche perché ho avuto la fortuna di partecipare ad alcuni programmi cult: Il Ruggito del coniglio, ad esempio; sono alla prima stagione, lavoro con Antonello Dose e Marco Presta. Ho fatto la stagione invernale compatibilmente con altri impegni, ed è stato molto divertente. Meno divertente è stato alzarsi alle 6, ma certe volte ne vale la pena. E poi Lillo e Greg: sono 10 anni che faccio parte del cast di 610, e quella è una grandissima scuola, perché io, Lillo e Claudio ci conosciamo da molto, quindi arriviamo naturalmente all’improvvisazione, e questa lo rende una palestra meravigliosa. Infatti alcuni personaggi che sono nati o che sono stati perfezionati in radio li ho poi portati al cinema; è tutto un circolo, un bellissimo gioco.

Ferzan Özpetek l’ha scelta come interprete di molti dei suoi film. Nell’ultimo, Allacciate le cinture, si affronta un tema piuttosto scomodo: quello del cancro. A riguardo ha dichiarato: “La mia Egle riesce a far ridere nel dramma della malattia”. Quanto pensa sia importante l’affrontare con ironia, a livello cinematografico, temi come questo?

Io penso che la vita sia una tragedia di cui bisogna imparare a ridere e che nei momenti tragici l’ironia aiuti: vivere i momenti di crisi generale con il giusto e sano distacco aiuta. Quindi sì, sarebbe meraviglioso poter parlare di temi presenti nella vita vera, come la sofferenza, il dolore e la malattia in modo ironico, attraverso i grandi mezzi di comunicazione. È un obiettivo difficilissimo da raggiungere; i più “grandi” ci sono riusciti, non solo nel cinema, ma in tutte le arti, attraverso il talento.

Lei non è solo attrice, ma anche comica. Un mestiere a tratti sottovalutato, ma molto complesso. Oltre alla sua naturale predisposizione, quali sono le cose che l’aiutano ad affrontare le sue esibizioni? Ha mai avuto paura di non risultare divertente?

Io non distinguo tanto il mezzo comico dal resto, perché sia la comicità che la recitazione sono cose che nascono dal corpo e dalla testa; sei sempre la stessa persona, in entrambi gli ambiti. Mi è capitato spesso di interpretare dei ruoli drammatici a teatro. Nell’ultimo film di Ferzan Özpetek, ho avuto l’occasione di cimentarmi in un ruolo tragicomico, finalmente, e spero di avere l’occasione di farne altri, perché il tragico e il comico, per me, sono indissolubilmente legati. Per quanto riguarda la paura di non risultare divertente, adesso che ho un po’ di esperienza, posso dire che il dubbio può nascere nei posti in cui c’è un pubblico che ti conosce poco o che ha un altro tipo di cultura. Col tempo, però, ho capito una cosa: se ti diverti, gli spettatori si divertono. Probabilmente ci saranno delle piazze in cui rideranno di più, altre in cui rideranno di meno; alcune che dimostreranno l’apprezzamento in modo diverso, altre ancora che magari staranno in silenzio per tutto lo spettacolo ma, alla fine, faranno 15 minuti di applausi. L’importante è che tu rimanga concentrata sul tuo gioco e sul tuo divertimento, perché è difficile che, se fai qualcosa divertendoti, questa non passi al pubblico.

Cinema, teatro e televisione: tre luoghi diversi dove poter esprimere la propria arte e dove poter dare il meglio di sé. Quanto sono diversi e qual è l’ambiente in cui si trova più a suo agio?

Il teatro è la mia vera casa. Il cinema è un’esperienza più esaltante, una specie di droga; produci  endorfine quando fai cinema, ed è una novità, nella mia esistenza, che mi sta dando tanto, sia a livello professionale che personale. Spero di interpretare ruoli sempre più vasti, e non parlo della loro quantità, ma della qualità: vorrei potessero avere tante più sfumature. Il fatto è che quando ti propongono delle figure comiche, nella maggior parte dei casi sono create partendo solo da semplici battute. Manca l’approfondimento psicologico del personaggio, che invece è fondamentale per questo lavoro, perché lo arricchisce. Tutti questi ambiti, comunque, sono pezzetti che fanno parte della mia esistenza, ma se dovessi sceglierne uno, sarebbe il teatro: è sicuramente il luogo in cui ho più esperienza e quindi quello dove mi sento a casa.

Il sogno impossibile: un regista con cui vorresti lavorare e un attore con cui vorresti recitare.

Oddio! Di impossibili  ne ho duemila, ma poi tutti i sogni sono impossibili, sennò che sogni sarebbero? Se fai dei sogni possibili non vale! Per quanta riguarda le collaborazioni: da Meryl Streep a Scorzese, da Di Caprio a Cate Blanchett, per dirne solo alcuni. Anche in Italia ci sono molti colleghi e registi con cui vorrei lavorare: Virzì, Luchetti, Segre, ma anche giovani, come Matteo Leotto. Ho già recitato con Elio Germano, ma lo farei di nuovo! Insomma, in Italia ci sono tantissimi artisti e artiste che conosco e che sarei onorata di incontrare in questo percorso.

È già stata gradita ospite a Musicultura, nel 2010. Come sa, quest’anno il festival compie 25 anni. Ha notato un’evoluzione dall’ultima sua partecipazione?

Per prima cosa: auguri! Buon compleanno! Passiamo alle cose serie: Musicultura è un Festival in perenne evoluzione e cambiamento, e la cosa che mi colpisce di più non è tanto il traguardo, ma il percorso, perché ogni anno ci sono delle novità, degli esperimenti, e questo è molto interessante. Ricordo, per esempio, che il primo anno che sono stata ospite c’era un progetto sulla poesia dialettale. In questa manifestazione si trovano sempre delle proposte interessanti fuori dal comune.

E lei cosa proporrà quest’anno?

In realtà io non propongo, ma mi è stata fatta una proposta: quella di essere ospite e fare una chiacchierata con il pubblico e con degli allievi. Mi è sembrato molto interessante e ho accettato. Fra l’altro, l’ultima volta che sono stata qui come ospite, a questo incontro c’era Lina Wertmüller:  è stato un grande onore ricevere questo invito. Ora andiamo e vediamo che succede!