“Tutto quello che succede nell’arte è utile” e la poesia essendo puro spirito può ridare all’essere umano quella selvatichezza alla quale non si approda facilmente con le altre espressioni di scrittura come la letteratura. Spesso nei suoi scritti la Cera Rosco parla del bosco e di tutto ciò che lo caratterizza, andando ad ampliare e chiarire la sua visione sulla libertà e la selvatichezza. La sua ricerca poi non è solo sulla parola, ma anche sul silenzio, visto non come interruzione dei suoni ma come conquista della capacità di ascolto del proprio canto dell’esistenza. Nelle sue perfomance si percepiscono vibrazioni molto sottili ma allo stesso tempo intense, perché alla parola si associa il corpo dove la gestualità, il movimento e gli oggetti di scena diventano un insieme imprescindibile, dando il giusto peso alle parole.
Musicultura da 25 anni dà voce sia alla canzone d’autore che alle arti in generale, qual è il suo punto di vista riguardo il festival e la sua missione?
Missione è un termine bello impegnativo. Io conoscevo il festival perché ho partecipato alla stesura di varie canzoni per molti cantautori che sono venuti qua. Musicultura ha una grande eco soprattutto per quanto riguarda la poesia che è il mio campo d’origine che poi genera tutto il resto, sono anche molto contenta che si chiami in questo modo in quanto dalla musica parte anche la parola. Prima sentivamo una conferenza sulla musica che diceva “è dal suono che viene originata la materia” e quindi è anche un po’ come questo festival che si sta espandendo, perché sebbene mi ricordo all’inizio era molto più piccolino e man mano cresce proprio come si propaga il suono oppure un sasso nell’acqua.
Ha scritto canzoni per molti artisti. Sapendo che ogni parola ha una musicalità e un ritmo, quanto si discosta un testo poetico da una canzone?
Sono due mondi. Non è che si discosta, è come parlare di Marte e di Venere però come succede in tutto l’universo, le cose si avvicinano per risonanza quindi è come ci fosse un punto in cui risuonano insieme e forse è proprio in questo che le affratella, s’incontrano molto bene. Di tantissimi cantautori si dice che siano poeti perché in qualche modo rispecchiano un sentimento profondo che schiude qualcosa che magari una canzonetta da sola non fa, quindi anche quando si parla di musica leggera è meglio andarci piano, perché a volte la musica leggera è molto intensa. Come spesso anche quando si parla di poesia in realtà non si considerano delle altre parti che sono molto sperimentali e d’avanguardia, molto dure, dove il sentimento poetico viene abbastanza scavalcato. Sono due mondi che sicuramente si avvicinano, si parlano, comunicano, si comprendono ma non sono un unico mondo.
Cosa propone per il pubblico dello Sferisterio?
La mia partecipazione a Musicultura è molto semplice. Mi avevano chiesto un testo, ho preferito non farne uno mio, ma di portare il testo di un’altra poetessa e ho scelto di mettermi addosso i testi della Szynborska che non mi ha ispirato da subito quando ero ragazzina, perché di solito metto in scena solamente testi che mi hanno ispirato. Questo è un testo che è venuto col tempo, parla della pietra e all’interno di un festival di musica leggera diciamo che mette un po’ di sana pesantezza. Questa performance si porta dietro anche un aspetto musicale, infatti ne ho scritto anche la musica e costruisco la gonna – in complesso che tutto quello che si vede è un manufatto e secondo me è un po’ la direzione dove anche le cose umili riprendono ad avere la loro dignità e quindi sono assolutamente onorata di partecipare con un mio intervento che però non parla di me ma parla di un’altra poetessa.
In Conversazioni con una pietra avvalorerà i testi con la sua fisicità in modo quasi teatrale. Come mai sceglie questa tipologia d’interpretazione della poesia?
E’ una performance artistica più che teatrale probabilmente la si vede sotto quest’occhio perché si è all’interno di un contesto quale lo Sferisterio. Negli ultimi tempi la poesia per me si è spostata proprio sulla parola oltre che sul silenzio quindi non è soltanto la scrittura della poesia, allora in questo senso, quando si sposta sulla parola come dice Rilke: “Canto è esistenza”, essa cerca di esistere nel suo massimo ed è per questo che ho cercato di dare anche fisicamente altezza a questa cosa,in modo tale che le persone siano spinte ad alzare la testa, lo sguardo, l’ascolto per la poesia che molto spesso è come se fosse in un cantuccio quindi o intimamente presente o quasi dimesso. Inoltre in questa occasione ho cercato di dare una risonanza un pochino più centrale.
Perché nel suo lavoro poetico che presenta a La Controra, la creatura viene definita ininterrotta?
Questo è un libro, ovvero uno sguardo di tutte le cose che ho fatto da prima fino ad ora e sono contenta di presentarlo qua, perché è una scrittura che parte dal suono. Quando è stato concepito, stavo ascoltando un compositore immenso che si chiama Ezio Bosso che l’Italia dovrebbe valorizzare molto di più, infatti ha lavorato e lavora molto di più all’estero. La sua è una musica che mi ha permesso dei passaggi e soprattutto mi ha dato accesso a qualcosa di remotissimo, la parola questi ingressi li porta in sé ma alle volte non si riesce ad aprirli. Quindi l’incontro per me con questa musica mi ha dato la possibilità di esplorare una profondità, un qualcosa di remoto di molto antico quasi universo come se fossi in giù è come se accedessi a qualcosa che tocca tutto che non si interrompe mai: né col dolore, né con la felicità o con le cose che la vita ti propone ma solamente ininterrottamente ti porta in contatto con qualcosa.
Lei è una poetessa e fa della parola un vero e proprio impegno, e mi riferisco a Terapia della Lettura. Qual è il fulcro di questo progetto educativo di cui lei è l’ideatrice? Mi incuriosiva approfondire Genere F che possiamo definire una costola di Terapia della Lettura.
I primi corsi sono nati per i ragazzi e anche per evitare la solita caduta nei termini della psicanalisi, che sembra essere quasi l’ultima spiaggia per sondare una profondità che dentro di te si è complicata. Durante questi laboratori venivano usati testi che normalmente non vengono affrontati perché difficilissimi, invece se riproposti in un altro modo divengono strumenti, delle sonde che entrano dentro di te e da lì poi vedi cosa ti ritorna dietro. Per me è stato importantissimo vedere la risposta di quella fascia d’età che è risultata propulsiva al massimo, quindi non serve mettere tutto nel dolore come se fosse una scatola che qualcun altro deve saper leggere perché per te è inaccessibile, non è così. Poi da questo si sono sviluppate una serie di cose laterali, di tutto quello che riguarda la luce come immersione della lotta su Caravaggio e riguardo Genere F vengono analizzate le figure di artiste femminili e non solo poetesse, che oltre alla loro complessità e al loro talento vi è anche un principio di dolore e difficoltà fortissimo infatti talvolta alcune di loro ci sono rimaste secche. A questo punto poi si va a vedere se i termini e le cose che loro usavano per esprimersi, per sondarsi se valgono anche per noi, perché tutto parte da un principio: tutto quello che succede nell’arte è utile e quindi l’utilità bisogna solamente capire in che campo dell’esistenza farla entrare.