Raccontare di Gesù non è un’impresa facile; se a farlo è Sandro Veronesi, però, ci si trova di fronte a qualcosa di innovativo, di fuori dal comune, che a tratti rimanda alla poesia e alla musica di Leonard Cohen, al genio di Quentin Tarantino e all’arte di Nick Cave. Non dirlo. Il Vangelo di Marco è l’ultimo romanzo dell’autore di Terre rare, Gli sfiorati, XY.
Lunedì 15 giugno, in occasione della giornata di apertura degli appuntamenti de La Controra, lo scrittore pratese, vincitore di numerosi riconoscimenti tra i quali il Premio Strega nel 2006 con Caos calmo, oltre ad aver presentato il suo libro nell’intimità di un incontro coinvolgente, ha sottolineato il suo impegno a Musicultura in qualità di membro del Comitato artistico di Garanzia: “Quando mi trovo a giudicare le canzoni mi piace sentire il parere dei miei figli: è un lavoro d’équipe ormai. Ho imparato che ci sono quattro o cinque brani che preferisco ma la mia favorita non vince mai”. Ha poi ribadito la sua stima nei confronti del Festival, affermando: “A Musicultura è possibile notare una vasta gamma di esperienze musicali che vanno ben oltre il mero cantautorato. Per me è un piacere avere a che fare con tanti talenti, perché gli artisti che decidono di partecipare alla manifestazione non sono mai dilettanti allo sbaraglio, principianti, ma musicisti già conosciuti e che a Musicultura vengono consacrati”.
“Caos calmo”, “Terre rare” e molti dei suoi romanzi hanno in comune la centralità dell’uomo e la sua capacità di capovolgere la realtà. L’uomo, in fin dei conti, è un eroe che giorno dopo giorno fa delle scelte che condizionano persone, cose, eventi. Perché non ci accorgiamo più di questo? Nessuna delle nostre potenzialità è in grado di stupirci: qual è il motivo?
Perché, tra le tante ragioni, abbiamo smesso di cercare il valore simbolico degli eventi, e ci siamo consegnati al loro arido significato concreto. La concretezza è il problema. Stiamo morendo di concretezza.
A proposito di uomini, il protagonista del suo ultimo romanzo, “Non dirlo. Il Vangelo di Marco”, è Gesù. Da ateo si sarà interrogato più volte su Cristo come figura sacra e come uomo rivoluzionario. È riuscito a darsi una risposta?
Ateo è un po’ troppo impegnativo, per me. Direi meglio “non credente”. E comunque ciò su cui mi sono interrogato e mi interrogo tuttora non è Cristo ma il racconto che di lui viene fatto. Del resto, sono un narratore, il racconto è la mia religione, e attraverso questa mi avvicino a tutto ciò che altri considerano sacro. Cristo è una figura grandiosa, di un’originalità ancora oggi insuperata, e sono i racconti che sono stati fatti di lui a renderlo tale. I Vangeli, innanzitutto. È, così com’è raccontato, una figura imprescindibile. Che poi su di essa poggi un’intera religione, è un fatto che ai miei occhi conferma la sua straordinaria consistenza narrativa.
Il Vangelo di Marco spesso è sottovalutato. Perché rivalutarlo? Perché renderlo moderno?
Perché oggi sappiamo che è stato il primo Vangelo, innanzitutto, e dunque sono stati gli altri a nutrirsene – ma questo è stato scoperto abbastanza di recente, grazie al famoso frammento 7Q5. E non c’è bisogno di renderlo moderno perché moderno lo è già, in un modo francamente sorprendente, dato che sembra concepito e composto con la mentalità che oggi, ma non certo 2000 anni fa, ispira le opere letterarie complesse.
In qualità di membro del Comitato artistico di Garanzia di Musicultura, durante l’ascolto dei brani e prima di esprimere le sue valutazioni su di essi, cos’è che l’attrae maggiormente di una canzone, a primo impatto?
La musica, di regola. Il tono, l’arrangiamento, quello che negli anni ’70 veniva chiamato il “sound”. Quello fa o no vibrare qualcosa dentro di me. E solo dopo che questo qualcosa ha o non ha vibrato, sempre di regola, mi rendo conto del testo. Poi, alla lunga, cioè durante gli ascolti successivi, il testo acquista importanza, sempre di più, tanto che, alla fine, se è deludente, se mi è venuto a noia, ci va di mezzo la canzone tutta e smetto di ascoltarla.