Franco La Torre prima che storico, ambientalista, pacifista e cooperante internazionale, è il figlio di Pio La Torre, assassinato dalla mafia nel 1982, quando era ormai imminente l’approvazione della proposta di legge da lui avanzata, che introduceva nel Codice Penale il reato di associazione mafiosa e la confisca dei beni alla criminalità organizzata. Ospite di Musicultura nella giornata d’apertura de La Controra, La Torre presenta il suo ultimo libro, Sulle ginocchia, “la vita di mio padre dal mio punto di vista”.
Tanti i volti assorti nel ricordo di quei giorni concitati degli anni ’80, che l’autore dipinge con lucidità e partecipazione in una conversazione fiume con Valerio Calzolaio – docente dell’Università di Macerata, attento testimone della storia contemporanea, nonché suo “grande amico”. Sono le note di “Povera Patria”, di Franco Battiato, interpretata dalla voce profonda di Alessandra Rogante, a far immergere e poi riemergere, in apertura e a conclusione dell’incontro, il pubblico nell’atmosfera intima e toccante di un racconto familiare.
Se Musicultura è musica ed è cultura, Musicultura è anche Libertà. Questa è, con ogni probabilità, la ragione per cui la presentazione del suo libro trova in questa manifestazione uno spazio di calorosa accoglienza. Riconosce nella concezione, di matrice illuminista, secondo la quale l’educazione e il sapere liberano e affrancano l’uomo dalla schiavitù, mentale e non, una delle idee guida anche dell’attività di suo padre – che al valore della libertà ha dedicato e sacrificato l’intera esistenza?
Mio padre, su sollecitazione di sua madre, analfabeta, realizza che lo studio e, di conseguenza, la cultura sono l’unico strumento per affrancarsi dalla condizione di bracciante povero e ribellarsi ad un destino miserabile. L’unico mezzo di avanzamento sociale in una società dai molti tratti ancora arcaica. Chiede e ottiene, quindi, di poter andare a scuola, quando ancora non aveva compiuto 5 anni. Questo afflato risponde la scelta del mio nome: Franco, uomo libero.
Ha lei stesso dedicato gran parte della sua attività alla lotta per la legalità, è attualmente presidente di FLARE – rete internazionale che raccoglie circa quaranta organizzazioni impegnate nel contrasto al crimine organizzato – e da anni è membro della direzione di Libera – associazione volta alla sensibilizzazione, anche attraverso la riconversione di beni confiscati alla mafia e alla promozione di attività produttive in quei territori. È proprio nell’ambito di una manifestazione di Libera che, parlando con Nando Dalla Chiesa, figlio di Carlo Alberto Dalla Chiesa, altra vittima di mafia che tutti ricordano, ha preso coraggio per scrivere di suo padre, non è vero?
Proprio così. L’autunno scorso ci trovavamo a Villa Vecchia, un complesso alberghiero, confiscato alla ‘Ndrangheta, a Monte Porzio Catone, sui Castelli romani, per una delle sessioni di formazione, che Libera organizza periodicamente. Nando mi chiede: “è mai possibile che tu non abbia scritto nulla su tuo padre?” Ed io: “veramente, ci ho provato più volte, senza venirne a capo”. Dai, insiste Nando, devi riuscirci. Ci ho riprovato e, questa volta, l’ho scritto.
Nell’approccio al racconto della vita di suo padre ha assunto, come era inevitabile, un duplice punto di vista, da una parte quello dello storico che, con scientifica esattezza, ricostruisce l’avvicendarsi degli eventi, dall’altra quella di figlio, che ha visto, ha vissuto in prima persona quegli eventi e ne è stato segnato per sempre. Come è riuscito a condensare in poche centinaia di pagine questa doppia lettura, che, per quanto ardua e complessa, è forse l’unica, o quella su tutte privilegiata, per conservarne la memoria?
Ero consapevole che, sia una biografia che un saggio politico su mio padre, non avrebbero aggiunto nulla di particolare a quanto già pubblicato; avendo “conosciuto” mio padre quando aveva, ormai, 40 anni. Ho pensato che il duplice piano di lettura, dove si sovrappongono l’angolo familiare e quello composta dalla sua storia e dal suo impegno, fosse la chiave per raccontare mio padre dal mio punta di vista.
L’assassinio di suo padre è stato solo il primo di una tragica sequela di delitti, che tutt’oggi non conosce requie, l’ultimo risale a pochi giorni fa, l’avvocato Piccolino è stato freddato con un colpo di pistola nel suo ufficio, a Formia. Il sacrificio di un uomo, di tanti uomini, non è servito dunque a cambiare le cose? E le cose si possono davvero cambiare o è l’intero sistema ad essere colluso e mafioso?
Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, la classe dirigente siciliana viene sterminata: capo del governo, quello dell’opposizione, massimo rappresentante del governo centrale nell’isola, magistrati, dirigenti delle forze dell’ordine, giornalisti. Ciò avviene perché quel grumo d’interessi, quel fenomeno di classi dirigenti – come mio padre definiva la mafia – si oppose, con successo, disgraziatamente, al processo di rinnovamento che si stava avviando in Sicilia, per ripartire, dopo il rapimento e l’uccisione di Moro, che aveva bloccato il tentativo analogo a livello nazionale. Quella tragica stagione, comunque, ha prodotto la legge Rognoni-La Torre – con l’introduzione del reato di mafia, le indagini patrimoniali e la confisca. Poi sono venute la Procura Nazionale Antimafia e gli altri strumenti, che fanno dell’Italia il paese all’avanguardia nel contrasto alle mafie. La battaglia tra progresso – sostenuto dalle forze democratiche – e reazione – sostenuta dal sistema di potere politico-mafioso – è un tratto della storia dell’umanità, la dialettica che ne sottende il percorso.
Musicultura è anche un’occasione di arrivare, attraverso la musica e le parole, al cuore dei giovani. Se potesse lanciare loro un messaggio, quale sarebbe?
Le giovani generazioni hanno ricevuto dai loro genitori meno di quanto questi avevano ereditato a loro volta. Si trovano, quindi, nella condizione di dover ricostruire e rafforzare il quadro dei diritti e delle conquiste sociali. Questa condizione fa di loro i nuovi partigiani di una lotta non violenta per la democrazie e la libertà.