Esilaranti, esplosivi, scherzosi ed ironici sempre e comunque, gli Oblivion, ospiti di Musicultura, hanno portato sul palco de La Controra prima, dello Sferisterio dopo, uno spettacolo unico nel suo genere, fatto di brani pop rivisitati con l’interpunzione continua di frasi musicali diverse, giochi metateatrali e virtuosistici esercizi di stile.
La storia del quintetto, composto da Graziana Borciani, Davide Calabrese, Francesca Folloni, Lorenzo Scuda e Fabio Vagnarelli, inizia con l’incontro dei suo componenti all’Accademia del Musical di Bologna e prosegue all’insegna di una sperimentazione musicale declinata ogni volta in maniera diversa, tra insoliti mash up di stili differenti – come l’ultima impresa canora del gruppo, che ha fuso insieme Gianni Morandi ed i Queen – , match di improvvisazione teatral-musicale, ricerca dal ritmo veloce della parodia, della gag ispirata ai grandi personaggi e alle opere immortali, con storie “ridotte” in una manciata di minuti: è il gioco che più piace agli Oblivion, fare la sintesi e scomporre le trame: un “gioco” che nel 2009, con il loro video-clip “I Promessi sposi in 10 minuti”, ha ottenuto oltre tre milioni di visualizzazioni. Nella vita mantengono gli stessi ingredienti che dipingono in palcoscenico: spontaneità, ilarità e leggerezza, che sono anche i fili conduttori di questa intervista.
“Gli Oblivion sono i cinque miracolati dalla banda larga, i cinque punti del governo del cantare, i cinque anelli delle obliviadi, i cinque gradi di separazione fra Tito Schipa e Fabri Fibra, i cinque madrigalisti post-moderni”: già da questa etichetta, con cui siete soliti definirvi, si evince l’eclettismo artistico che vi contraddistingue. Perché “Oblivion”?
“Oblivion” è un acronimo, è l’iniziale dei nostri nomi. Ma è anche un incantesimo di Harry Potter, un’attrazione di Gardaland, un film con Tom Cruise… Stiamo scherzando, non è l’acronimo dei nostri nomi, ma una volta un giornalista ci ha creduto e da lì, ogni volta che ce lo chiedono, riproponiamo questa spiegazione. Lasciamo aperta l’interpretazione di questo “oblìo” con cui abbiamo deciso di chiamare il nostro gruppo, chissà, magari vengono fuori delle cose curiose.
Siete un quintetto che riunisce insieme cinque personalità molto diverse tra loro. Come riuscite ad armonizzarvi e ad offrire spettacoli dove siete perfettamente sincronizzati ed in sintonia tra di voi?
Per sopravvivere. Per anni abbiamo fatto Musical per amore del Musical e per mangiare col Musical. Sognavamo di morire per amore e nel frattempo stavamo “morendo di fame”. È una vita dura quella dell’artista, vediamo colleghi che non lavorano e si scoraggiano: quella che ci lega è una motivazione forte, dobbiamo per forza di cose essere il più uniti possibile. Ma abbiamo anche altri “piani B” – scherzano sorridendo, ndr – infatti c’è chi ha iniziato a coltivare pomodori in balcone, chi si cimenta anche in cucina, insomma, prepariamo alternative di sussistenza, in caso di crisi.
Quali sono i modelli cui vi ispirate nella creazione delle vostre caleidoscopiche performances?
I nostri maestri? Quartetto Cetra, Rodolfo de Angelis, Giorgio Gaber, i Monty Python. Non li abbiamo mai incontrati, ma sicuramente avrebbero negato di conoscerci. Non abbiamo inventato nulla, facciamo quello che faceva, ad esempio, il Quartetto Cetra negli anni ’50. Noi “rimettiamo alla finestra” le loro canzoni, solo con ritmi e tempi molto diversi da quelli della loro epoca, cerchiamo di prendere degli spunti che poi attualizziamo. Come facciamo anche con le storie dei grandi classici, da Dante a Manzoni a Shakespeare – del quale abbiamo di recente riproposto il nostro “Othello, la H è muta” – per divertire attraverso la parodia, per “togliere un po’ di polvere”. Altrimenti, tolti gli appassionati di cultura classica, resterebbero solo reliquie lontane nel tempo: con le nostre contaminazioni di comicità, musica e trash, li rendiamo di nuovo “pop”, evitando un approccio troppo accademico a questo tipo di opere.
Siete stati protagonisti con i vostri spettacoli comico-teatral-musicali anche in programmi tv di successo come “Zelig” e “Parla con me”. Cosa pensate dei Talent Show che, ad oggi, sembrano essere un passaggio obbligato per l’auto promozione di un artista?
Siamo la dimostrazione di quanto forte possa essere il potere della rete e dei media: un video caricato su Youtube ci ha consacrato al successo permettendoci di farci conoscere dal “grande pubblico”. È un’ottima vetrina. Certo ogni artista deve avere una precisa coscienza di sé e del proprio lavoro, altrimenti rischia di uscirne con le ossa rotte e bruciarsi subito.
C’è qualche nuovo progetto che bolle nel vostro smisurato calderone creativo?
Il periodo estivo è quello più produttivo, dove si scrive molto e ci si prepara per la nuova stagione di spettacoli che si schiuderà in autunno. Abbiamo in serbo un progetto, che prenderà il via ad ottobre, che sarà un vero e proprio “Human juke box”. Ovvero sia, durante le nostre esibizioni raccoglieremo spunti e suggerimenti di brani musicali direttamente dal pubblico. Così sarà un tipo di spettacolo diverso ogni sera, con materiali nuovi e sempre più attuali: una sorta di laboratorio creativo, potenzialmente infinito. Quella che non cambierà sarà invece la nostra filosofia di sempre: divertirci e non prenderci mai troppo sul serio.