È una giornata uggiosa e grigia a Macerata, ma gli Antichi Forni sono illuminati dalla presenza della scrittrice Aminata Fofana che, con la sua grinta e la sua sincerità, riesce a spazzare via qualsiasi nuvola. A presentarla, in occasione di questo appuntamento de La Controra, è Ennio Cavalli, che ha già avuto l’opportunità di conoscere l’autrice e di dare una sbirciata al suo mondo durante un incontro a Tuscania.
Aminata Fofana, nata in un piccolo villaggio tribale della Guinea, lavora da molti anni in Europa, tra Francia, Italia e Inghilterra. Già modella e cantautrice, nel 2006 esordisce con il suo primo romanzo, La luna che mi seguiva. Il libro che l’autrice presenta al pubblico maceratese narra la storia di una bambina, del nonno sciamano e di un remoto villaggio africano lontanissimo. E, attraverso la lettura di alcune delle pagine più belle, Aminata parla del suo mondo, delle sue tradizioni, del suo coraggio, delle sue scelte, suscitando negli spettatori un sincero interesse e il desiderio di chiedere, di conoscerne di più.
Il suo primo romanzo, La luna che mi seguiva, racconta una storia legata alla sua infanzia in un piccolo villaggio tribale della Guinea, una storia che nasce da una cultura radicalmente diversa da quella Occidentale. Dopo aver lasciato il suo luogo natio e aver vissuto e lavorato per molti anni in Europa, cosa l’ha spinta a richiamare le sue origini attraverso la scrittura di questo romanzo?
Ero in un momento della mia vita in cui pensavo di suicidarmi un giorno sì e uno no. Poi è successo qualcosa. Stavo molto male, ero sdraiata sul letto – abitavo a Campo de’ fiori – ed era come se tutto il rumore, il vocio della gente, venisse assorbito, attutito e sostituito da altri suoni: eravamo io e altri bambini, sei bambini, in fila indiana. Ci trovavamo nella foresta e pioveva tantissimo, per ripararci abbiamo staccato alcune foglie di un banano e così, messi tutti uno dietro l’altro, sembravamo uno strano millepiedi. Poi, quando siamo arrivati al villaggio – ricordo che sentivo proprio il rumore della pioggia – i bambini sono spariti tutti nelle case dei genitori mentre io sono andata nella capanna di mio nonno. Ho spostato la tenda di giraffa per entrare e proprio con questo gesto di spostare la tenda … ho avuto una sensazione fisica, forte, come se significasse finalmente togliere il sipario dell’ignoranza, pronta a immergermi nella vera conoscenza. Dopo questo episodio ho iniziato a scrivere.
Il mondo di colori, odori e suoni da lei evocato mediante la scrittura trasportano il lettore in un universo visceralmente legato alla natura e a tradizioni lontane e sconosciute. È un’Africa lontanissima dal ritmo martellante dei clacson e del frastuono urbano che caratterizzano città come Roma, il luogo da lei scelto per scrivere il suo romanzo. Come è riuscita a far convivere questi due mondi nel suo modo di vedere e sentire? E soprattutto – riflettendo anche sull’evidente contrasto che emerge alla fine del suo romanzo quando la protagonista è costretta a lasciare la sua tribù per andare a vivere in una città – come è riuscita a conservare intatto il legame con il suo passato?
È difficile: è una battaglia. Hai presente l’esplosione di una supernova? Uguale. Perché qui parte tutto da un’altra realtà, il mondo che io vivo è fantasia, non ha nessun significato o valore – a meno che non si incontri qualcuno che ha una certa sensibilità, ma è raro. Faccio fatica a far convivere questi due mondi. Ho sempre bisogno di tornare davanti al mio altare animista per ritrovare il mio equilibrio, altrimenti rischio di impazzire.
Ne La luna che mi seguiva si assiste alla rivelazione del “prescelto”, il futuro erede del Morikè, lo sciamano. Proprio come vuole la tradizione, tutti gli abitanti del villaggio si aspettano che venga scelto un maschio, ma – come ben presto scopre il lettore – l’eletta stavolta sarà una bambina. A partire dallo sconcerto generale per l’evento inaspettato fino ad arrivare ad alcune parti del romanzo in cui si nota l’ostilità degli abitanti verso la protagonista e si sottolinea il fatto che non sarebbe accaduto se fosse stata un maschio, è evidente la contrapposizione uomo-donna. Anche riferendosi alle vicende del romanzo, potrebbe parlarci della condizione della donna e della posizione che essa occupa nella società della sua terra di origine?
La donna è sottomessa all’uomo, ma lo fa con felicità: è un’accettazione totale. Io vedevo mia madre felice, che anzi canticchiava mentre dava la parte migliore del cibo a mio padre. E la donna è tutto nella tribù: è colei che lavora nei campi, va a prendere l’acqua, fa partorire, cura, così come Numu Mouso nel romanzo è quella che fa il taglio del clitoride. Non so se tutto ciò è rispettato, più che altro è dato per scontato.
Il mondo di Saduwa, la protagonista del romanzo, è un mondo intimamente connesso con la natura, pervaso da una cultura che attribuisce un grande valore simbolico a cose e ad avvenimenti che al lettore potrebbero sembrare minimi e trascurabili. Una delle immagini più forti è quella della “luna”, sempre presente nelle vicende e compagna costante che guida Saduwa. Essendo quello del satellite terrestre un elemento ricorrente anche nella cultura Occidentale, qual è il significato che ha nella sua tradizione e secondo quale tipo di rapporto l’uomo vi è legato? È una luna sempre benefica come nel romanzo oppure ha dei lati malvagi?
In questo caso, più che nella tradizione ne parlerei nello specifico: la luna è l’alleato dello sciamano. Come dicevo prima, gli sciamani hanno degli alleati nella natura: possono essere animali, fiumi e può essere anche la luna. Ennio Cavalli prima leggeva il passo del romanzo in cui viene tagliato l’albero di cui è fatto il trono del padre di Saduwa: doveva essere l’albero più vecchio di tutti, quello che all’alba – quando tutte le anime degli alberi si svegliano insieme al villaggio – lo sciamano riconosceva come più antico. C’è questa alleanza tra lo sciamano e la natura. Suppongo poi che la luna possa essere anche malvagia, una sorta di “dark side of the moon”, ma io non ne ho mai conosciuto questo lato.
È possibile accostare il percorso conoscitivo e di crescita della protagonista al suo personale percorso umano?
Mentre scrivevo sono come “regredita”, intendo positivamente, nel senso che ero proprio con Saduwa, mi trovavo dentro di lei. Ricordo che un mio amico giornalista de “L’Epresso” mi chiamò e mi disse: «Aminata in che epoca sei?». Perché quando scrivo sono davvero lì, nei luoghi di cui racconto. Quando scrivevo della foresta, degli animali, poi uscivo di casa e mi sentivo spaesata nel vedere un tram. Era come se fossi stata proiettata dal mondo di Saduwa direttamente a Roma, nel suo traffico, nel suo rumore, con il chiasso, i tram, gli autobus e solo persone bianche intorno a me. Non so poi se ho fatto un’evoluzione, ma ti posso dire che ho accompagnato Saduwa, ho camminato assieme a lei.