INTERVISTA – «Per essere un poeta sono troppo di buonumore»: Guido Catalano ospite di Musicultura 2015

Nato alle 8.50 di un 6 febbraio del ’71, – così si presenta attraverso la sua poesia “Curriculum Vitae” – Guido Catalano arriva a Macerata, ospite di Musicultura 2015 e della settimana culturale de La Controra.

Il poeta torinese dà voce ai suoi versi in un reading poetico agli Antichi Forni, trascinando nel suo mondo di amori irriverenti e non convenzionali il pubblico, divertendolo, facendolo ridere di cuore. E di poesia in poesia, di aneddoto in aneddoto, di battuta in battuta il tempo vola e l’incontro finisce. Ma qualche ora più tardi lo ritroviamo sul palco dell’Arena Sferisterio dove regala alla platea ancora poesie e sorrisi, salutando Macerata tra scrosci di risate e applausi.

L’amore. Ci si potrebbe azzardare a dire che è un tema che ricorre spesso nelle sue poesie. Al di là dell’ironia, qual è l’idea di amore che ha Guido Catalano? E quale idea di amore si vuole trasmettere in “Ti amo ma posso spiegarti?“

Il tema amoroso ricorre molto in ciò che scrivo. Azzarderei che il 70% circa delle mie poesie parlano d’amore. L’amore è un lavoraccio. Può dare grandi soddisfazioni. Può essere la benzina che ti fa andare avanti ma può anche essere la palla di cannone che ti affonda intanto che veleggi in mare aperto.

Rockstar mancata – o anche no –,  poeta professionista vivente, cabarettista, reduce di centinaia di reading poetici l’anno e autore di sei libri di poesie, nel «Preambolo dell’Autore» del suo ultimo lavoro pone una serie di interrogativi sulla poesia e sull’essere poeta. In base alla sua personale esperienza, senza voler tentare di chiedere risposte universali e definizioni generalizzanti, che significa al giorno d’oggi parlare del mestiere di poeta? Quali sono le caratteristiche che lo delineano come figura istituzionalizzata nel mondo del lavoro e nella società?

Non credo che si possa parlare scientificamente e istituzionalmente del “mestiere di poeta” anche perché attualmente, in Italia, è probabile che i “poeti professionisti” si contino sulle dita di una mano. Una mano con poche dita. Credo che il poeta professionista, oggi, sia l’eccezione che conferma la regola. La regola è che non esiste questo mestiere. Dunque probabilmente anche io non esisto e questa intervista non è mai stata fatta.

Nel suo articolo Poesia e rock contenuto in Un weekend postmoderno, Pier Vittorio Tondelli scriveva che il rinnovamento della poesia collettiva dei suoi anni era dato dalla figura dei musicisti. Affermazione esagerata in positivo, in negativo, o mezza verità?

I miei poeti preferiti sono i cantautori.

Dunque abbraccio senza se e senza ma questa idea.

D’altra parte io coi musicisti lavoro moltissimo e voglio loro del bene sincero.

Rimanendo nell’ambito del rapporto che lega poesia e musica e tenendo conto della compresenza di entrambe queste forme d’espressione artistica nei suoi progetti, come interagiscono e s’influenzano vicendevolmente tra loro? Inoltre qual è a suo avviso la distanza che separa il lavoro su testo di un cantautore e quello di un poeta?

La poesia non ha bisogno di musica, non è una canzone.

Una poesia riuscita ha il ritmo e la musica dentro.

Come ho detto prima, per me il rapporto con la musica e i musicisti ha rappresentato e rappresenta un passaggio fondamentale. D’altra parte io non volevo fare il poeta ma la rock star.

Non ce l’ho fatta e ho ripiegato.

Leggendo le sue poesie si ha l’impressione di essere trascinati dalle parole, dalle frasi: che si segua un ritmo di corsa o di passeggiata, i versi paiono imporre un loro andamento, tanto che viene naturale – se non si ha mai avuto la fortuna di assistere dal vivo a un reading – di andare a cercare il loro primo creatore trascinati dalla curiosità di ascoltarli nella consistenza della sua voce. Quanto è importante l’atto della lettura ad alta voce dei suoi componimenti e quanto e in che modo, nella composizione, influisce sulla ritmica delle parole?

Il rapporto “live” con il pubblico è parte fondamentale del mio lavoro.

Ho iniziato a fare reading quindici anni fa perché era l’unico modo per avere un contatto diretto con il pubblico.

Mi si dice che le mie poesie lette su un libro non raggiungono la potenza di quando vengono ascoltate dalla mia voce. Credo sia vero.

Credo che negli ultimi anni, la composizione delle mie poesie sia influenzata dalla coscienza  che ciò che sto scrivendo sarà letto in pubblico.

Ciò che faccio d’altra parte è un misto di poesia, teatro e musica, dunque è giusto che sia così.

Tante delle sue poesie prendono forma di dialoghi, di scambi, botta e risposta continui e rapidi. È una scelta stilistica che assume una funzione ben precisa oppure è conseguenza d’una necessità espressiva?

Amo i dialoghi ben scritti. Dunque cerco di proporre questa forma perché mi diverte e perché mi permette di parlare d’amore come una semplice poesia non riuscirebbe. Nel dialogo – tipicamente tra uomo e donna – cerco di esplorare il fantastico, difficilissimo, anarchico, confuso, meraviglioso mondo della comunicazione amorosa. E ogni tanto ci azzecco.