Il musicista e compositore cinese Xiao He si è esibito in una emozionante performance all’Arena Sferisterio, durante la seconda serata di Musicultura XXVI. Ospite attesissimo, Xiao He è riuscito a regalare al pubblico irripetibili momenti di musica: una musica portatrice di diverse tradizioni e differenti influenze, in cui il mix tra passato e presente artistici è confluito in una rappresentazione non solo musicale, ma anche teatrale perché, come ha affermato lo stesso He, «entrando e salendo sul palco dell’Arena Sferisterio, mi è sembrato di essere in un luogo teatrale e, quindi, mi sono sentito libero di teatralizzare i miei movimenti. Ho avuto l’impressione che lo Sferisterio sia più adatto a spettacoli teatrali, che non musicali».
Ad accompagnare Xiao He, il musicista Patrizio Fariselli che, negli anni, è diventato un sostenitore del Festival ed una presenza quasi costante: «Musicultura è un’occasione importante per gli artisti emergenti» ha affermato Fariselli; «il consiglio che sento di dare ai giovani cantautori è quello di non cercare il successo a tutti i costi mettendosi nelle mani del mercato e rischiando così di perdere la qualità, l’onestà intellettuale e l’attenzione per la musica intesa come opera d’arte. È importante sviluppare un pensiero musicale e condividerlo, ed avere rispetto per le proprie idee, perché per questo passa il rispetto per gli altri». La felice interazione artistica che si è creata tra Xiao He e Patrizio Fariselli fa pensare che la musica abbia, in questo caso, portato a termine il suo ruolo, ovvero quello di rendersi mezzo efficace affinché diverse culture possano dialogare in maniera pacifica tra loro. Riguardo a questo, però, Xiao He ci tiene a precisare che «bisogna innanzitutto distinguere tra cultura e musica: nella musica ci sono fattori che provengono da o sono legati alla cultura, ma la musica in sé non può intervenire sulla cultura. O meglio, la musica non può essere messa al servizio della cultura, né tantomeno essere rappresentativa di diverse culture, perché è essa stessa cultura, ed è un insieme di persone, di linguaggi, di influenze e di storie». Due artisti diversi per storia e stile, due personalità provenienti da mondi lontani che, però, negli ultimi anni sembra si stiano avvicinando inesorabilmente: abbiamo chiesto a Xiao He e Patrizio Fariselli cosa pensano della globalizzazione e del processo di mondializzazione attualmente in corso: Patrizio Fariselli: «”Globalizzazione” è una parola orribile che, anche dal punto di vista culturale, rimanda al concetto di entropia, ovvero quando le cose si mischiano e si tende a perderne l’identità, avvicinandosi ad un colore neutro che ne appiattisce la conservazione delle proprie radici. Mi piacerebbe piuttosto usare il termine “interscambio”, che richiede un profondo processo di umiltà nei confronti dell’altra cultura: solo in questo modo è possibile iniziare a dialogare e produrre qualcosa di altro. Quello che io e Xiao He abbiamo realizzao sul palco dello Sferisterio non è né qualcosa di totalmente cinese, né qualcosa di totalmente italiano: è nato tutto tra le nostre dita, perché siamo maneggiatori del suono ed improvvisatori, dunque rispondiamo agli stimoli l’uno dell’altro con il massimo dell’attenzione e con grande umiltà. Il punto di connessione tra Oriente ed Occidente probabilmente non esiste o meglio, per trovare un elemento comune bisogna tornare a 30, 40 mila anni fa quando, nelle caverne, si riproducevano gli stessi simboli. L’intelligenza e la buona volontà, sì: queste sono universali». Xiao He: «Credo che la distinzione Oriente/Occidente oggi sia arbitraria e generalista, addirittura non vedo differenze tra i diversi Paesi; le persone, in ogni parte del mondo e a prescindere dagli Stati di appartenenza, condividono una comune speranza: raggiungere ciò che viene dall’unione tra felicità e fortuna, ovvero conquistare ciò che rende davvero piena la vita, al di là dell’appartenenza culturale o nazionale. Il problema nasce quando subentrano i conflitti tra le persone o le nazioni, perché ci si dimentica dell’importanza della speranza, che viene sostituita dal desiderio: nel momento in cui ci si concentra sul desiderio, sorgono i conflitti a livello sia interpersonale che macroscopico. La chiave di connessione consiste nel tornare a ricordarsi della speranza della felicità, più che del desiderio».