Da Petrolini a Caparezza, passando per Arbore, Jannacci, Gaber, gli Skiantos e molti altri: Roberto Manfredi, in uno dei primi appuntamenti de La Controra di Musicultura, parla di Skan-zo-na-ta, un libro che racconta la storia della musica umoristica e satirica italiana. Ricco di aneddoti e interviste, Skan-zo-na-ta descrive la nascita e le evoluzioni di questo particolare genere musicale e dei suoi personaggi.
Il suo è uno dei pochi, se non l’unico libro dedicato alla storia della canzone satirica italiana. Come e dove nasce l’idea di scrivere un libro sulla musica “skanzonata”?
L’idea del libro è nata principalmente per tre motivi: in primis per scrivere. Da anni faccio l’autore televisivo, ma in quest’ambiente ormai non si scrive più. Non esistono più i copioni, ma solo i format stranieri e le scalette. Per questo, chi fa il mio mestiere e vuole esercitare la nobile arte dello scrivere, può farlo solo attraverso un libro. Il secondo motivo viene direttamente dal mio mestiere: essendo un discografico, ho lavorato a stretto contatto con tantissimi artisti del calibro di Jannacci, Gaber e Benigni, per cui è stato quasi “naturale” scrivere, anche perché fa tutto parte della mia vita. Il terzo e ultimo motivo consiste nel fatto che non è mai stato scritto un libro sulla storia della canzone satirica italiana, nonostante il suo sterminato repertorio.
Quali sono, secondo lei, le caratteristiche peculiari che deve avere un testo musicale per essere veramente satirico? Può farci degli esempi?
Deve far ridere ma, soprattutto, deve avere un’aderenza alla realtà. Come mi diceva Dario Fo, lo scherzo e la burla hanno un limite e, se non sono connotati nella realtà, diventano come la famosa barzelletta sui carabinieri: fa ridere, sì, ma resta una cosa molto banale. Si possono anche cantare brani surreali, ma devono aderire al reale e, perché no?, essere anche attuali. Faccio un esempio: La gallina di Cochi e Renato è profetica, se possiamo considerarla tale, perché, a distanza di tanti anni, abbiamo visto che una gallina, l’animale “non intelligente” per eccellenza, recita insieme a Banderas e crede di saper fare i biscotti (ride, n.d.r.) Anche Vengo anch’io, no tu no di Jannacci, possiamo ricondurla nel significato ai cambi di casacca dei politici. Peccato che oggi dicano tutti “si tu si, vieni anche tu!”. Il segreto, dunque, è restare sull’attualità, far ridere ed avere un tema in cui ci si può identificare. Prima i cantautori scrivevano di personaggi della società: erano reali. Ora sembra che non ci sia più questo interesse. Possiamo dire di assistere ad un “declino” di fantasia e creatività. I temi delle canzoni sono diventati, a mio parere, troppo monotoni. Il tema onnipresente è l’amore, che è diventato abbastanza noioso.
I cantautori sono stati spesso vittime di censura. Crede che questo abbia giovato alla trasmissione del messaggio satirico contenuto in ogni canzone?
Sicuramente! È quasi una conseguenza. Spesso la censura ha aiutato, anche perché era fatta per sbaglio. Ti faccio un altro esempio: Cochi e Renato, nel famoso sketch sulla scuola, avevano una battuta che fece scalpore. Pozzetto diceva: «Bambini portatemi per domani una banconota da 50mila lire che poi faccio la fotocopia e mi tengo l’originale. Bravo, bravo: 7+». Il Ministero dell’istruzione scrisse alla Rai dicendo che questa era una battuta di istigazione alla corruzione e alla delinquenza. Dunque la Rai censurò lo sketch, ma ben dodici puntate dopo, quando tutta l’Italia ormai diceva «Bravo, bravo 7+». Partendo dal presupposto che la censura è sempre sbagliata, è vero però che ha aiutato molto nella trasmissione del messaggio e ha creato successo, anche non voluto.
La satira è, da sempre, il pane quotidiano di comici e di molti artisti, ed è nutrita da personaggi forti e “sopra le righe”. Visti i tempi “comici” che stiamo vivendo, soprattutto in politica e nel mondo dello spettacolo, direi che coloro che fanno satira hanno a disposizione molto materiale su cui lavorare. Oggi la satira passa per altre vie: mi riferisco ad esempio al rap o ai programmi di Crozza. Cosa pensa di queste nuove forme e della satira moderna in generale?
Della musica rap devo dire che, anche grazie a Caparezza, è diventata una buona via per fare satira visto che, a mio avviso, non si può rappare sull’amore, perché non funziona. In televisione il limite è costituito dalla satira politica e Crozza in questo è un maestro: fare la parodia di personaggi già parodistici di per sé, ad esempio di personalità come Razzi – di cui fa più ridere l’originale. Una volta Paolo Rossi mi disse che era un po’ in crisi col suo lavoro proprio per questo motivo. Prima c’erano il giullare ed il re, ma se il re si metteva a fare il giullare, gli rubava il lavoro. Questo per dire che spesso la realtà supera la fantasia. Secondo me bisognerebbe spostarsi su altri temi, come fanno gli americani: la loro satira riguarda gli stili di vita, le abitudini quotidiane. Certo, fare satira su Donald Trump è troppo facile: basta guardargli il ciuffo (ride, n.d.r.).
Se dovesse riassumere tutta la storia della canzone umoristica italiana, e dunque il suo libro, in una parola sola o in un nome, quale sarebbe?
Essenzialità, perché ci vuole sempre!