Si apre la settimana de La Controra di Musicultura, per la prima volta al suono della “musica del diavolo”, il blues della Treves Blues Band. Alla guida della band, l’armonicista Fabio Treves, meglio noto come “il Puma di Lambrate”, in assonanza con il soprannome “Leone di Manchester” del musicista britannico John Mayall.
Così Fabio Treves racconta alla redazione di “Sciuscià” il suo viaggio all’interno della musica e del blues: dal palco condiviso con Frank Zappa, passando per il Festival di Memphis nel Tennessee, sino al prossimo 16 luglio, quando la Treves Blues Band sarà opening-act del concerto del “Boss” Bruce Springsteen. Un viaggio dal quale Fabio Treves ancora non ha fatto ritorno.
Come Fabio Treves spiegherebbe cos’è il Blues ad un ragazzo nato nel 2000? Come lo si vive?
Oltre ad essere un genere musicale popolare, oltre ad essere la musica fonte da cui poi sono nati altri importanti generi, a mio avviso il Blues è anche una filosofia di vita, uno stato mentale, il sottofondo musicale della nostra vita, con i suoi innumerevoli stati d’animo e le situazioni comuni a tutto il genere umano. Grazie anche alle commistioni artistiche e di stili che si sono incontrati, il Blues è diventato un vero e proprio linguaggio universale. I canti dei neri che arrivavano dalle coste occidentali dell’Africa hanno dato vita ai primi blues cantati, poi hanno incontrato la musica che arrivava dal vecchio continente e poi si sono sviluppati in stili diversi nei vari stati americani. Poi è arrivato in Europa…e ha rifatto il giro del mondo. Il Blues è la musica più libera che esista, chiunque lo può vivere, cantare ed interpretare come vuole. Non c’è un solo genere Blues, ne esistono decine e centinaia di stili ed elaborazioni diverse. È un luogo comune che il Blues evochi solo uno stato di tristezza. Il Blues è anche sinonimo di divertimento, aggregazione, solidarietà, amicizia, passione, erotismo e chissà quante altre cose ancora…
Negli Stati Uniti il Blues, nelle sue molteplici sfaccettature, è uno dei generi musicali per eccellenza che si è fatto carico dei problemi sociali e degli ultimi della società, raccontando storie e viaggi, entrando nelle carceri e nei bordelli. Tematiche che in Italia sono state particolarmente care al cantautorato e alla musica popolare. Quanto crede sia importante la funzione sociale della musica, intesa come portatrice di messaggi?
Io penso che ci sia ancora bisogno di impegno civile nel nostro Paese e che la musica e i musicisti possano fare molto… Fermo restando che il Blues è la musica che ha avuto origine nella “terra madre Africa” e dai canti degli schiavi di colore che lavoravano nelle piantagioni di diverse zone degli Stati Uniti d’America, è vero che con gli anni, come forma di espressione artistica e di comunicazione, ha interpretato e parlato di stati d’animo che tutti conoscono: amore, passione, incontro, viaggio, riscatto sociale, rapporti turbolenti, protesta politica, rispetto per l’ambiente… E quindi credo che si possa dare una funzione sociale al Blues in tanti modi: scrivendo un bel libro che parla dei primordi del blues, scattando fotografie ai tanti concerti sparsi in tutto il mondo, suonando i classici del Delta Blues o quelli elettrici del Chicago style, incidendo dischi con testi che parlano di riscatto sociale, pace, sogni e utopie. Viverlo con passione e coerenza, anche senza necessariamente suonare uno strumento… Perché il Blues non è patrimonio di pochi. Il Blues è la vita stessa, con i suoi momenti di sconforto, di dolore, di disagio sociale ed economico. Ma è anche fatto di momenti unici e irripetibili, di amore, di incontri, di empatia, di sesso, di amicizie profonde, di solidarietà, di impegno civico ed ambientale… La musica della Treves Blues Band non ha mai raccontato di sogni o utopie, non è mai stata “impegnata” … È la mia storia personale che racconta il mio impegno coerente per tante nobili cause. Mille battaglie tutte volte a migliorare la qualità della vita e dell’ambiente, tanti concerti a favore dei diritti civili, o per non dimenticare le infamie del passato, o tenuti laddove la sofferenza viene vissuta in prima persona da persone sfortunate…o per dare un senso alla vita di tutti i giorni! L’alleato più forte dell’ingiustizia è il disinteresse, e anche contro quello bisogna far sentire la propria voce o la propria musica.
Una vita vissuta al fianco di musicisti internazionali e nazionali, del calibro di Chuck Leavell, Frank Zappa, Eugenio Finardi, Elio e le Storie Tese, Angelo Branduardi e molti altri. Le andrebbe di raccontarci un aneddoto legato, direttamente o indirettamente, ad una di queste figure?
Sicuramente un incontro che mi ha veramente emozionato e segnato è stato quello con il leggendario “Genio di Baltimora”: Frank Zappa. Era il 1988 ed ebbi la fortuna e l’onore di conoscerlo, di frequentarlo ed anche di calcare il palco con lui in due occasioni, a Milano e a Genova. Ancora oggi quando riascolto la registrazione di quella sera e sento lui, con quella sua profonda e caratteristica voce, che mi presenta… mi emoziono! Penso a quanto fosse avanti artisticamente, a quanta influenza abbia avuto la sua musica su milioni di giovani, a quanto fossero dissacranti, innovativi ed unici i suoi testi, mai banali, mai omologati, mai servi del potere! Ho ancora vivido il ricordo del suo sguardo magnetico che sembrava entrare dentro di me, e della sua risata che aveva una tonalità così profonda e particolare. Che brividi mi dava Frank! Che grande fortuna averlo conosciuto ed avere ascoltato le sue sagge parole!
Delle molteplici esperienze musicali che ha avuto, ce n’è una che l’ha segnata particolarmente? E, se sì, perché?
Credo che la partecipazione con la mia Treves Blues Band al Festival Blues di Memphis, Tennessee, nel 1992 sia stata un episodio davvero entusiasmante. Eravamo nella patria del Blues, nella città delle grandi leggende del Blues, nella città famosa per i suoi mitici studi di registrazione. Condividere il palco ed il backstage con artisti che conoscevamo di fama, attraverso i loro successi discografici, quasi ci intimoriva e tutto sembrava un vero sogno ad occhi aperti! Il pubblico ci applaudì e ricevemmo tanti complimenti dagli organizzatori… In quell’occasione io capii che se suoni il blues con umiltà e rispetto verso la tradizione nera sei sulla strada giusta. Il BLUES è la musica origine ma con gli anni è diventato un vero e proprio linguaggio universale, una cultura che unisce, un modo di vivere i rapporti con il prossimo, un mezzo per condividere valori umani profondi…
Il prossimo 16 luglio, al Circo Massimo di Roma, la Treves Blues Band aprirà il concerto di Bruce Springsteen “The Boss”. Cosa rappresenta questa data per Fabio Treves? Un punto di arrivo o un altro importante momento del viaggio che sta facendo da oltre quarant’anni all’interno del Blues?
Suonare a Roma prima del “Boss” è qualcosa che ancora non sono riuscito a metabolizzare. Sono stordito, commosso e felice allo stesso tempo. È un altro grande sogno che si avvera. Se mi avessero detto quaranta anni fa che avrei calcato lo stesso palco mi sarei messo a ridere. Bruce è un mio idolo. È uno dei più attenti cultori della tradizione musicale nordamericana e il suo rispetto per la musica origine è vera e profonda. Ha saputo portare il Rock alla dimensione più alta nel corso di quasi mezzo secolo, e la sua coerenza artistica in quasi cinquanta anni di carriera dovrebbe essere un esempio per tanti giovani, soprattutto per quelli che credono di aver toccato il cielo con un dito solo perché sono andati in televisione a scimmiottare i big. Vivrò il 16 luglio e questa esperienza come un altro prezioso momento della mia vita di musicista e bluesman. Ho sessantasette anni, ma sento che il mio viaggio iniziato quaranta anni fa non è ancora finito…