La talentuosa artista napoletana, tra i vincitori di Musicultura 2014 e 2015, ha presentato il suo ultimo disco in Piazza Cesare Battisti, ospite de La Controra, per poi esibirsi allo Sferisterio in una emozionante performance con Elena Ledda.
Un vortice di suoni, melodie, movenze, contaminazioni stilistiche, espresse con una vitalità incontenibile ed un entusiasmo contagioso. E’ Flo, che si sta rapidamente affermando come una delle personalità più eclettiche e versatili tra le nuove leve del panorama musicale italiano. La 32enne artista napoletana ha ammaliato per l’ennesima volta il pubblico di Macerata, città a cui è molto legata per le sue fortunate partecipazioni a Musicultura nel 2014 e 2015, figurando in entrambi i casi tra i vincitori. In Piazza C. Battisti, insieme alla sua band formata dai bravissimi Ernesto Nobili (chitarre), Marco Di Paolo (cello), e Michele Maione ( percussioni), ha presentato “Il mese del rosario”, il suo ultimo disco: nove brani, di cui sette inediti e due che sono riarrangiamenti di canzoni di Rosa Balistreri e una ghost track, una versione di Bang Bang di Sonny Bono. Poi, in quello Sferisterio dove in tanti si sono innamorati di lei, si è esibita insieme ad Elena Ledda in una struggente interpretazione di No potho reposare, canzone simbolo della Sardegna scritta nel 1915 da Badore, al secolo Salvatore Sini.
Un lavoro che odora di world music e Sud America, ma con la profondità di un Fabrizio De Andrè, la cui produzione artistica è stata affidata ad Ernesto Nobili, il quale firma insieme alla cantautrice anche questo lavoro, che si contraddistingue per il suono accattivante e viscerale e per il tentativo, assolutamente riuscito, di fondere vibrazioni e linguaggi di luoghi lontani. “Il Mese del rosario” si può definire come un racconto di esistenze sospese in un tempo e in uno spazio indefiniti, una sorta di colonna sonora di una quotidianità fatta di modi di vivere spregiudicati, quasi borderline. Un disco in cui coesistono il calore dell’indulgenza, la rassicurante memoria delle storie raccontate e il gentile libertinaggio dell’animo umano.
Due anni fa usciva il tuo primo album, “D’amore e di altre cose irreversibili”, che ha conquistato i favori della critica. Adesso è la volta de “Il mese del rosario”. Un titolo che incuriosisce, decisamente. Come lo hai concepito e quale è il filo conduttore di questo lavoro?
Il “Mese del Rosario” è qualcosa che dico in Vulìo, la canzone che apre il disco. E’ una espressione che evoca tradizioni popolari, come quelle mariane del mese di maggio. Ho pensato a chi recita il rosario, a chi lo fa per redimersi dal peccato, pregando in maniera così ardente. Mi piaceva il suono del titolo, significativo rispetto al racconto del disco. E’ anche un po’ ironico. Il fatto è che sono affascinata dai riti collettivi, così come sono colpita dalle stridenti contraddizioni della mia città, del mio quartiere, la Sanità, dove si avverte forte, per esempio, il contrasto tra la spiritualità emanata dalla presenza della chiesa che sta lì, a rappresentare l’aspetto sacro della vita, e le voci dei neomelodici provenienti da tante case e che furoreggiano.
Le tue canzoni sembrano favole in musica. Favole dure, però, amare, che non fanno sconti, e non necessariamente con un lieto fine….
È così. Sono molto attratta, da sempre, dall’aspetto drammatico delle cose e delle vicende delle persone che mi circondano e non solo. Risento molto dell’influenza su me esercitata da coloro che costituiscono modelli artistici ed esistenziali come Fabrizio De Andrè. Non mi ha mai terrorizzato il guardare da vicino anche gli aspetti brutti dell’esistenza. Alla bruttezza, alla negatività con cui ognuno di noi deve fare i conti, reagisco rifugiandomi nella musica, e cullandomi nella sua bellezza. Per me, per esempio, salire sul palco, è una manifestazione di tangibile bellezza.
Come nasce una canzone di Flo?
È l’esito finale di un flusso centrifugo di sensazioni, emozioni, fantasie, suggestioni, pensieri, ricordi, frutto sia di esperienze vissute che immaginate, sulla scorta della mia formazione umana ed artistica.
I testi dei tuoi brani sollevano l’attenzione su tematiche controverse, scardinano tabù ancora molto diffusi nel tessuto sociale. Quanto spazio c’è, in un panorama musicale come quello italiano che spesso appare asfittico, per voci alternative come la tua?
È un panorama purtroppo dominato da meccanismi incancreniti. Noi, più che sui Talent, abbiamo puntato sui live, decidendo di stare perennemente in contatto con il pubblico. Quanto abbiamo costruito fin qui, e lo dico senza alcuna volontà di retorica, è davvero tutto frutto del nostro lavoro, non abbiamo usato scorciatoie di alcun tipo. E’ la conseguenza di una passione inesauribile nei confronti di ciò che più amiamo fare, e che ci spinge a sobbarcarci tanto, tanto lavoro. Quest’estate saremo impegnati in un tour di circa 20 date, il che non è poco di questi tempi. Il prossimo anno ci esibiremo a Vienna e in alcune città del Sudamerica. Va bene così, insomma, molto bene.
Tu conosci bene Musicultura. Sei stata tra i vincitori delle edizioni 2014 e 2015. Come vivi questo tuo ritorno a Macerata?
Lo vivo con grandissima felicità. Quando mi hanno chiesto di fare l’ospite per l’ edizione 2016, sono stata molto contenta. Mi dà gioia sapere che qualcuno rimane davvero colpito dalla mia arte, come hanno dimostrato gli organizzatori di Musicultura quando sono venuti a trovarmi a Milano per assistere ad un mio concerto.