In occasione della quinta giornata de La Controra di Musicultura, James Senese e il suo storico gruppo Napoli Centrale si sono esibiti in Piazza Cesare Battisti. Con una performance eccezionale, Senese ha incantato la piazza gremita di gente nonostante il caldo torrido del pomeriggio.
Senese non ha solo cantato e suonato, ma si è anche raccontato, davanti ad un buon bicchiere di prosecco, al pubblico maceratese in compagnia di Michela Pallonari, parlando della sua Napoli che magistralmente rivive nelle sue canzoni. Il momento più toccante e commovente è stato quando sono partite le note di Chi tene o’mare, un omaggio al suo amico precocemente scomparso Pino Daniele. Per un’ora e mezza Macerata ha respirato Blues.
La redazione di “Sciuscià” ha incontrato l’artista partenopeo prima della sua esibizione a Musicultura 2016.
È la prima volta che partecipa a Musicultura da ospite: che impatto ha avuto con il Festival?
Mi sembra un Festival molto interessante. Ci si può esprimere liberamente. Ed è difficile trovare questa libertà in altri Festival importanti come questo.
Napoli Centrale è una sua creatura che ha un linguaggio proprio capace di unire il folklore napoletano al Blues. Quanto conta la tradizione e quanto l’innovazione, in questo progetto?
La tradizione è importante, ma l’innovazione conta tantissimo. Io, come compositore di Napoli Centrale, faccio musica d’avanguardia da quarant’anni. Andando sempre avanti.
Napoli è una città che ha dato vita a moltissimi musicisti; alcuni di loro, dopo aver raggiunto la fama nazionale ed internazionale, l’hanno abbandonata. Lei, invece, è rimasto. Qual è il rapporto che ha con la sua città?
Io provo dei forti sentimenti per Napoli. Dove abito sto bene, e non avrei mai potuta abbandonarla. Come noi ben sappiamo, è una città ricca di contraddizioni, ma se uno riuscisse a vivere come vivo io, ci si potrebbe vivere molto bene. È una città contorta come tante, perché il bene ed il male esistono dovunque.
Suo padre è americano, sua madre è napoletana, e lei è stato più volte negli Stati Uniti vivendo anche la realtà del Bronx. Quali sono le differenze, se ci sono, e quali le analogie tra la periferia americana e quella napoletana?
Credo che siano più meno la stessa cosa, c’è la stessa cultura di dimensioni, accadono gli stessi sbagli e vi sono gli stessi problemi, che forse in America sono maggiori rispetto all’Italia. Per questo motivo, mi sento di dire che il Bronx e la periferia napoletana sono più o meno la stessa cosa.
Che consiglio si sente di dare ai giovani musicisti emergenti che vogliono intraprendere questa carriera?
Questo è un mestiere molto difficile: o lo fai per bene, o non lo fai affatto. Bisogna crederci. Se i giovani ci credono, potranno andare avanti senza problemi e creare delle nuove dimensioni.