Eugenio Finardi, il cantautore guru degli indipendenti, paladino delle libertà artistiche e sociali più totali, torna nel 2016 sui palchi di tutta Italia con uno spettacolo completamente nuovo dal titolo “40 anni di Musica Ribelle”, proprio a quarant’anni dall’uscita di “Sugo”, il disco che nel 1976 lo ha portato al successo. Un lavoro discografico, questo, in cui sono contenuti, oltre alla canzone–manifesto Musica Ribelle, alcuni tra i brani più rappresentativi della sua carriera, come La Radio, Voglio e Oggi ho imparato a volare.
Ospite della seconda serata di Musicultura 2016, prima di esibirsi sul palco dello Sferisterio Finardi ha incontrato il pubblico de La Controra e, tra le altre cose, ha raccontato il suo legame con il Festival e quanto esso si sia rivelato importante per la sua carriera.
«Nel 1999 – ha confidato Eugenio Finardi – ho partecipato a quello che pensavo e speravo fosse il mio ultimo Festival di Sanremo. Dopodiché mi sono stufato di “fare Finardi”, non mi sentivo più in sintonia con il mercato musicale, con il contratto che mi ingabbiava ad una multinazionale: se uno è un musicista vero, comincia ad essere limitante il fatto di dover sottostare a certe logiche ma si ha paura allo stesso tempo di cambiare. Con questo spirito, nel 2002/2003, sono arrivato a Recanati: in piazza si teneva Musicultura e ho incontrato Francesco Di Giacomo, voce del Banco Del Mutuo Soccorso, che mi ha proposto di cantare il Fado portoghese e mi ha presentato Marco Poeta, poeta recanatese. Mi invitarono ad entrare in questo progetto, traducendo alcune canzoni di Amàlia Rodrigues. Mi feci mandare una audiocassetta, per formalità, ma dopo tre canzoni la voce di Amàlia già mi aveva commosso sino alle lacrime. Mi resi conto della profondità di questa musica, per certi versi molto simile alla canzone napoletana, ed accettai, iniziando a girare soprattutto nelle Marche. In questo contesto – ha continuato Eugenio Finardi – ebbi l’occasione di conoscere tutti questi meravigliosi “cucuzzoli” ricchi d’arte ed ognuno con il proprio piccolo teatro. Fu una rivelazione scoprire che potevo fare un concerto di musica non mia e non essere linciato se non cantavo ciò che il pubblico si aspettava; per me fu una liberazione pazzesca, fu come rendersi conto che ci poteva essere altro aldilà di Finardi, che potevo allargare gli orizzonti includendo altre musiche. Tutto ciò mi diede il coraggio di fare un disco di Blues, mio grande amore musicale e da sempre il genere che suono nel privato. Ebbe uno straordinario successo, feci 130 concerti nei quali proponevo una sola canzone di Finardi e per il resto il repertorio era Blues, comunque scritto da me».
Così Finardi si è raccontato alla redazione di “Sciuscià”.
“40 anni di musica ribelle”: Eugenio Finardi, come uomo e come artista, contro quali logiche contemporanee si ribella? E in che modo?
Contro il liberismo, contro questa dittatura politico-finanziaria in atto oggi; la quale consente all’1% di popolazione di ricchissimi di dominare questo nostro mondo. Quei poteri forti che stanno derubando tutti gli altri, rendendo impotente ogni principio democratico.
Uno dei suoi pezzi più noti è Extraterrestre. Attraverso questa metafora fantascientifica, quale tipo di evasione propone e da cosa?
In realtà Extraterrestre non propone una vera e propria evasione da qualcosa ma, piuttosto, spiega come sia impossibile sfuggire a se stessi, anche andando, metaforicamente parlando, su un altro pianeta.
Spesso si ha l’impressione che siano i “talent” a indirizzare oggi artisti, testi e messaggi. Per un artista come lei che ha vissuto in un periodo in cui le canzoni nascevano nelle osterie, tra la gente e davano voce a chi non l’aveva: persone, storie e tematiche sociali. Come vive e vede questo fenomeno sociale che sta investendo il suo mondo?
È un fenomeno che rappresenta uno spaccato della realtà artistico-musicale di oggi. Bisogna saperlo utilizzare nel migliore dei modi ma anche uscire da questa logica. Ci sono tanti talenti emergenti che lo fanno e che sanno uscirne. Non sono l’unica via: i “talent” portano alla fama e al successo magari prima dell’esperienza, della gavetta, ma esistono altre realtà, altre vie da seguire.
Musicultura crede e vuole dare un’opportunità alle proposte di giovani artisti non ancora affermati . Cosa si sente di dire a chi nutre la sua stessa voglia di “ribellarsi”, a chi non intende omologarsi ed omologare la sua musica?
Coraggio! Non smettere mai di tentare. Come dice la canzone Musica ribelle bisogna non essere preda delle proprie paure, ma avere il coraggio di continuare a lottare per ciò che si crede giusto.