La Controra di Musicultura ha ospitato Adam Zagajewski, poeta e saggista polacco autore dell’antologia Dalla vita degli oggetti. Durante l’incontro, l’autore ha commentato alcuni suoi versi e ha letto in lingua originale alcune sue poesie tratte dal libro, tra cui Autoritratto e Mistica per principianti.
I temi trattati da Zagajewski sono stati la guerra, il ritorno in patria, l’Europa e – ovviamente – la poesia. A conclusione della sua esibizione, il poeta ha confidato: «I due ingredienti principali per scrivere poesie sono: avere delle cose interessanti da dire e un pizzico di fortuna».
Dopo aver vissuto per vent’anni all’estero, è ritornato in Polonia, precisamente a Cracovia. Ha vissuto la Polonia assediata e mutilata della Seconda guerra mondiale: come ci si sente a tornare in patria, trovandola così diversa e democratica?
Come saprai, ho vissuto molti anni a Parigi e non ho visto il mio Paese per molto tempo. In me c’era sempre il desiderio di ritornare. Ho viaggiato molto, e questo mi ha permesso di osservare lentamente, passo dopo passo, il grande cambiamento. Sono veramente molto entusiasta della fine del comunismo e dell’avvento della democrazia.
“Hai visto i profughi andare verso il nulla, /hai sentito i carnefici cantare allegramente” è un verso tratto dalla poesia Try to Praise the Mutilated World. Possiamo considerarla molto attuale, vista la delicata questione dei profughi che ogni giorno giungono sulle nostre coste. Questa poesia può essere in qualche modo dedicata a loro?
È sicuramente dedicata a loro. Ho scritto questa poesia subito dopo la guerra in Jugoslavia, dove c’erano molti profughi: provo e ho provato molta compassione per loro. Penso sia una poesia universale. Anche la mia è stata una famiglia di profughi: quando vivevo a Leopoli, siamo dovuti scappare. Posso dire che la mia vita è iniziata con l’essere un profugo.
E se anche lei è stato un “profugo”, allora, cosa pensa si possa fare per accogliere meglio coloro che scappano da Paesi “mutilati”?
Ci sono due punti di vista. Il primo è “filosofico” ed è legato al tema dell’accoglienza e dell’umanità, che dovremmo sempre avere nei confronti di chi scappa dalle guerre e dalla disperazione. Il secondo è sicuramente un punto di vista più politico, di cui però non so parlare molto visto che non sono competente in materia. Però è pur vero che bisogna fare qualcosa in quest’ambito, perché se l’intera Africa si trasferisse, un Paese morirebbe, smetterebbe di esistere.
“Siamo come palpebre, dicono le cose/ sfioriamo l’occhio e l’aria, l’oscurità/ (…) E all’improvviso sono io a parlare (…)” sono parole tratte dalla poesia Dalla vita degli oggetti. In che momento ha cominciato a “dialogare” attraverso la poesia con le cose?
Non c’è stato un vero momento perché credo che il “dialogare” con le cose, sia il centro della poesia stessa, la sua natura. Essere poeta non è come essere dottore, professore o avvocato: loro sono specialisti. Il poeta è interessato a tutto, alla vita, all’amore, ai viaggi. Per me, è questa è la chiave: cercare di non essere “specialisti”.
Nella poesia Ricordi, ha scritto: “Sfoglia i tuoi ricordi/ cuci per loro una coperta di stoffa”. Nella coperta di ricordi di Adam Zagajewski, quali sono quelli più vividi?
Non so, ho veramente tantissimi ricordi (ride, n.d.r.). La mia stessa vita è un ricordo, sono nato come un rifugiato ed ora è tutto molto diverso. L’amore, la musica, gli amici più cari: sono sicuramente questi i ricordi più belli.
In un mondo sempre più tecnologico e consumistico, la letteratura e la poesia hanno sempre più difficoltà ad emergere. Secondo lei, cosa potrebbe fare lo scrittore per avvicinare di più il pubblico moderno alla nobile arte della poesia?
Come prima cosa, scrivere bene – anche se io credo che i giovani debbano semplicemente interessarsi di più a questo tipo di arte. Gli artisti, secondo me, non possono farsi pubblicità. Non è molto bello per uno scrittore stare in strada e cercare di convincere i passanti a leggere i propri testi!
La sua antologia Dalla vita degli oggetti coglie al meglio le contraddizioni della natura umana. Quale crede sia la più grande contraddizione dei nostri tempi?
Nelle nazioni democratiche secondo me, la più grande contraddizione deriva dal fatto che ci sente liberi solo “politicamente” e ci si dimentica che si può essere veramente liberi tramite l’arte. Molte culture dimenticano proprio questo, sono libere ma non sanno usare la loro libertà nel migliore dei modi.