L’ultimo giorno de La Controra è stato animato dalla chitarra di Diego Carè, accompagnato dai suoi musicisti Piero Belardinelli (fisarmonica e voce), Fausto Ulissi (chitarra e mandolino) e Mauro Paggi (percussioni). Il percorso musicale di Carè, polistrumentista marchigiano tra i dodici vincitori della VI Edizione dell’allora Premio Città di Recanati, costituisce un esempio importante dei valori di arte e cultura di cui il Festival si fa promotore da ormai ventisette anni.
Nella musica di Diego Carè si fondono i temi tipici della canzone popolare (la vita e l’amore, ad esempio), interpretati in modo del tutto originale attraverso l’uso del dialetto, che conferisce alle note e alle parole un raro senso di leggerezza e fantasia.
Nel 1995 hai partecipato alla VI Edizione del Premio Città di Recanati, di cui sei stato uno dei vincitori. Quale sensazione si prova nel prendere nuovamente parte al Festival dopo così tanti anni?
Poter partecipare a quell’edizione del Festival ha rappresentato per me un’esperienza importantissima perché, oggi come allora, Musicultura costituisce uno dei pochi, se non l’unico concorso musicale in cui l’espressività cantautorale riesce a emergere in modo completo e genuino. Al contrario di Sanremo, dove occorre avere già delle produzioni alle spalle, a Musicultura puoi presentare qualcosa di assolutamente personale, che è nato dalle tue viscere e, se piace, vieni contattato. Quindi, essere chiamato dopo così tanto tempo a completare la già ricca cornice della settimana de La Controra è una nuova spinta a continuare il mio lavoro.
In che modo il Festival si è rivelato determinante – se così è stato – per la tua successiva carriera artistica?
Sì, quel premio si è rivelato fondamentale perché mi confermato che ciò che stavo facendo era giusto e, soprattutto, perché mi ha dato lo stimolo per andare avanti.
“Pagni e ricordi” è un album che si contraddistingue per l’impronta prettamente folkloristica dei testi come della musica. Oggi, quella della canzone popolare è una scelta coraggiosa e assolutamente anticonvenzionale vista la necessità delle industrie della musica di produrre dischi il più possibile commerciabili. Non credi?
In realtà, la commerciabilità di un disco non rappresenta la mia preoccupazione principale. Cerco sempre di fare quel che più mi piace utilizzando spesso anche il dialetto. D’altronde, nella mia canzone Io vojo canta’ affermo proprio questo: “Io vojo canta’ come so parla’ ”.
Saper suonare più strumenti significa disporre di una conoscenza del suono e, in generale, di una visione della musica piuttosto completa. Se, però, dovessi scegliere il tuo strumento “di fiducia”, quello che più ti caratterizza e attraverso cui riesci a esprimere meglio i tuoi sentimenti, quale sarebbe?
La chitarra è sicuramente lo strumento con cui ho più confidenza, perché tutto è iniziato proprio strimpellando la mia chitarra acustica. Inoltre, si tratta di uno strumento veloce e che posso portare facilmente con me, ovunque vada – tant’è vero che ne tengo una nella mia camera e una in macchina.