Disegnatore satirico, vignettista, regista, nonno. Sergio Staino racconta la sua vita al pubblico del La Controra, sabato 24 giugno, al cortile del Palazzo Municipale. E’ dalle grandi sfide che arrivano le soddisfazioni più grandi: questo l’insegnamento più grande che l’artista ha regalato al pubblico di Musicultura. Dopo qualche autografo, l’ex direttore de L’Unità ha rilasciato un’intervista alla redazione di Sciuscià.
Negli ultimi anni, soprattutto sul web, la satira ha ricevuto aspre critiche dagli utenti. Qual è il vero fine della satira?
La comunicazione satirica può essere usata a scopi propagandistici, ma è una tipologia che a me interessa meno, perché ha come fine l’umiliazione o lo svilimento. La satira che preferisco è quella che denuncia le ipocrisie oppure quella che cerca di scovare le magagne e le cose che non funzionano all’interno di situazioni dove tutto appare forte e sicuro. Io credo poi che uno Stato che accetti una libera satira, sia un buono Stato, o che comunque sia una nazione che ha poco da nascondere. Infatti non è un caso che in tutte le situazioni liberticide la prima ad essere uccisa sia proprio la satira, che però non scompare mai del tutto, grazie al carattere vivo delle sue barzellette. Quest’ultime, soprattutto nei paesi fascisti e comunisti, andrebbero trascritte e raccolte in volumi, perché sono delle creazioni satiriche di grande valore.
Oltre al livello umano e personale, la malattia ha influenzato il suo sviluppo artistico?
Non solo mi ha influenzato ma è stato l’inizio della mia attività artistica. Fino a quel momento avevo fatto un disegno molto impersonale, fin troppo facile; era come se non avessi trovato una strada per raccontare il mondo attraverso il disegno. La malattia mi ha costretto a concentrami tanto e a dovermi sforzare per conquistare millimetro per millimetro cose che prima avevo a portata di mano. Tutto questo però ha arricchito il mio segno: di un disegno comune ne ha fatto uno particolare, che è il disegno di Staino.
Oltre che disegnatore e giornalista ha anche diretto dei film: cosa significa il cinema per lei? È stata una parentesi aperta e chiusa tra gli anni 80 e 90 o pensa di tornare dietro la macchina da presa in futuro?
Posso fin da subito dirti che non tornerò a dirigere film, in quanto gli occhi mi hanno fregato veramente molto in questo campo. Quando ero alle mie prime esperienze di regista ho iniziato ad avere dei problemi, ma sono riuscito a continuare. Nel momento in cui non riuscivo più a vedere le espressioni degli attori o le inquadrature, però, ho deciso di abbandonare tutto. Ciononostante sento che la mia vera personalità sia chiusa all’interno del disegno. Nel corso della mia vita ho fatto tantissime cose diverse: ho diretto film e spettacoli teatrali, ho seguito la direzione artistica di “Estate Fiorentina”, sono stato direttore di periodici, ho fondato un giornale satirico. E’ proprio facendo tutte queste cose che ho capito l’importanza del disegno. Quando disegno qualcosa io so benissimo cosa ho appena fatto e se mi piace la difendo a morte. In tutti gli altri campi, invece, ho sempre avuto il bisogno di ascoltare il giudizio degli altri per sapere se erano cose abbastanza belle o meno. Questo mi ha fatto capire quale fosse la mia vera e unica strada, il disegno.
Musicultura dà spazio ai giovani e alla loro creatività: che consiglio darebbe a uno di loro per quanto riguarda un’ipotetica carriera nel mondo della musica?
La prima cosa da fare è imparare a ricercare le emozioni che ci circondano. Il problema dei giovani, che poi fu anche un mio problema, è che spesso sentono la frenesia di dover far qualcosa, perdendo così di vista quello sta loro attorno, quello che la gente dice e fa, le contraddizioni del mondo esterno. Ma in realtà è da questo che l’idea esce fuori. Se invece ci si chiude in una stanza a pensare a cosa poter fare, non succederà mai niente. Io lo vedo tuttora oggi: quando le mie vignette sono frutto di un’emozione interna rispetto a qualcosa di esterno, piacciono sempre di più. Il lettore lo sente quando dietro c’è della verità.