Barbara Alberti è stata la protagonista dell’ultimo appuntamento de La Controra, che si è tenuto domenica 25 giugno; in occasione dell’evento intitolato “Le parole che non ti ho detto” – ideato e condotto da Vincenzo Galluzzo – si è così lasciata andare ai ricordi dei momenti vissuti durante la sua carriera.
“Cara Marta, dopo la tua morte hanno scritto che eri la regina dei salotti. Non è vero: eri la regina e basta”: la lettera che la giornalista, scrittrice, nonché sceneggiatrice e volto noto della televisione italiana, ha letto al pubblico di Palazzo Conventati è dedicata all’amica Marta Marzotto, venuta a mancare nel luglio del 2016; racconta dunque di una “Sheerazade vestita da tigre”, che nel nostro tempo aveva trovato la sua belle èpoque, in cui vivere e sognare. La scrittrice umbra ha voluto ricordare la generosità e la “pazzia” fuori dal comune che caratterizzavano la Marzotto e di quei suoi tre uomini che teneva legati a sé, come la calamita con il ferro, grazie al suo fascino sconfinato. “Peccato che io non creda, altrimenti ti avrei rivista in paradiso”, ha scritto la Alberti che, a proposito del suo contrastato rapporto con la Chiesa, ha confessato: “Sono di formazione cattolica, ma una volta che non ho creduto più in dio sono diventata religiosa”.
Ecco cosa, inoltre, ha raccontato alla nostra redazione.
Lei è spesso ed orgogliosamente controcorrente rispetto agli standard della società. Da dove trae forza la sua ribellione?
Sono nata in un’altra epoca, in un tempo crudele, quello del dopoguerra, e non in un mondo virtuale come l’odierno. La bontà allora non si chiamava buonismo, il sesso te lo dovevi guadagnare a mano armata e non era un obbligo sociale. Oggi tutti questi finti lussi e libertà ci schiacciano: sotto ogni aspetto ha vinto il capitale e stiamo vivendo in un mondo di schiavi. Lei dice controcorrente? Ma io mi aggrappo al ramo, ho paura! Ho paura per i miei figli, per i miei nipoti, per gli amici e per me stessa. Mi aggrappo perché ho terrore di questo mondo così assassino, crudele e molto noioso. Tutto ciò mi sta avvelenando – non le sigarette che fumo [ride n.d.r.]; ora dico questo, ma in realtà sono contagiata da ciò che mi è attorno.
Il suo ultimo libro, “Riprendetevi la faccia”, è un esercito fatto di parole, che si schiera contro la dittatura dell’eterna giovinezza, l’ansia femminile di invecchiare, la chirurgia estetica come unica via di fuga. Qual è il suo rapporto con la vecchiaia?
La vecchiaia femminile è diventata un tabù: è come se le donne non avessero più diritto di invecchiare. Io non faccio alcuna retorica sulla bellezza dell’anzianità: fa schifo, è una maledizione biblica, è la porta della morte. Tuttavia ricordo le mie nonne, che invecchiavano senza fare storie: sapevano di vivere una stagione, così come una condizione della vita umana. Posso capire che uno può essere distrutto dall’idea della deperibilità, ma non che ci si debba lasciar “intortare” da quello che oggi è il modello di bellezza pubblicitario o televisivo, come se la vecchiaia possa non giungere più; e invece sì, che arriva!
Questo, secondo lei, accade perché nella trasmissione dei valori dai tempi delle sue nonne alle nuove generazioni di ventenni con il botulino c’è in qualche modo un anello mancante?
Oggigiorno le passioni vengono chiamate con il nome di malattie; in questo frangente, tutto è medicalizzato. I genitori parlano ai ragazzini come fossero degli psicologi e non genitori; si avverte sempre questa “fottitura” della vulgata psicoanalitica-psicologica. Così, se lei adesso vuole andare a letto con un bel tipo di 50 anni, la gente inizia a dire che lei sta ricercando un padre, anche se non è vero: lei vuole l’amore, l’imprevisto, il desiderio, l’imperscrutabile. La morte dell’immaginazione fa molto male all’uomo.
Nella sua biografia ufficiale si legge che i protagonisti dei suoi romanzi “lanciano tutti la stessa sfida: trovare la più invisibile tra le felicità”. Lei ha trovato la sua felicità?
La felicità è una cosa troppo grande per la condizione umana. Viene e poi va. Sono felice di stare al mondo, nonostante tutto. Poi ho questo giocattolo fantastico che è la scrittura, che non costa nulla. Mi metto a tavolino con un foglietto ed ho tutte le vite che riesco a scrivere. La mia penna è molto più bella di me. Non so se la mia felicità consista nell’avere un tozzo di pane, un tetto, la famiglia che sta bene ed un pezzo di carta. Nonostante ciò, tutto questo si avvicina molto al concetto che ho della serenità.
Spesso si ha la sensazione che anche la letteratura oggi abbia perso qualità. Se le chiedessi di dirmi un libro che, invece, l’ha colpita?
Ho letto un libro di Fiamma Satta, intitolato “Io e lei. Confessioni della sclerosi multipla”. La scrittrice fa parlare la sua malattia: la protagonista è quindi una carogna bestiale, una nemica del genere umano. L’autrice ha esorcizzato la sclerosi multipla, prendendosi così una rivincita grandiosa. È meraviglioso vedere come tutto può essere rovesciato attraverso l’immaginazione.