INTERVISTA. Adriana Asti a La Controra di Musicultura 2018: il suo futuro di infinita allegria

Una carriera costellata di collaborazioni con grandi registi del ‘900, un percorso professionale ricco di incontri con le personalità più carismatiche e geniali del mondo dello spettacolo, una vita che però non le ha risparmiato malattia e sofferenza: questa è la storia di Adriana Asti.

Ha inaugurato il primo giorno di Musicultura, presentando a La Controra la sua autobiografia “Un futuro infinito”, dialogando con il poeta Ennio Cavalli. Il titolo del libro, un paradosso, rende bene la natura enigmatica dell’attrice; è al tempo stesso un modo per dichiarare, fin da subito, la predisposizione all’allegria e all’ottimismo di una donna che non ha rimpianti, che guarda soltanto in una direzione: verso il futuro. Ed è proprio dal suo romanzo che comincia la nostra conversazione.

Dalla sua autobiografia emerge chiaramente che per diversi anni, all’inizio della sua carriera, si è lasciata trasportare dal mondo del teatro in quanto spazio sospeso; era incosciente di ciò che le capitava e felice soltanto per l’occasione di andarsene finalmente da casa. Come è arrivato invece il momento della consapevolezza?

Ho iniziato a sentire maggior consapevolezza della mia professione stando in scena, dopo aver recitato e aver frequentato per molto tempo il mondo del teatro. Mi sono accorta semplicemente che la gente prestava attenzione a quello che dicevo e questo mi ha fatto piacere, dato che per me era insolito che mi si ascoltasse, non me lo aspettavo. Da qui ho cominciato a recitare.

Una delle parole che risuona di più nella sua autobiografia è sicuramente “solitudine”. Una certezza esistenziale costante e anche una ricerca, altrettanto costante, che l’ha spinta verso il teatro, dove, come dice nel libro, regna una “solitudine impeccabile”. Che tipo di solitudine ha trovato in scena?

In realtà la solitudine è un grande piacere, un privilegio del quale non posso fare a meno, ma non mi ha spinta verso il teatro. Devo dire, però, che nel mondo della recitazione non si ha la comune vita sociale, quella che avrei potuto avere a casa, a Milano. Vivi in maniera diversa anche l’essere sola, che diventa così un dono.

Si definisce, sempre e con fermezza, una donna allegra. Lo fa nonostante le ombre e le paure che in alcuni momenti della sua vita la hanno bloccata e avvicinata all’analisi col dottor Musatti, suo psicoanalista e amico per molti anni. Che cosa, nel quotidiano, le dà forza? Qual è la fonte inesauribile di questa allegria?

Io sono naturalmente allegra e questa caratteristica non è una dote che esercito. Sono ottimista, positiva; vedo sempre il bicchiere mezzo pieno. Mi rende felice osservare le tante cose che mi circondano e che mi incoraggiano.

Ha lavorato con registi e attori straordinari, tra i quali Visconti, Bertolucci, Pasolini, Strehler, Ronconi e Totò. Quali sono i lavori e le collaborazioni che ancora oggi ricorda con un’emozione particolare?

Tutti i lavori che ho fatto sono per me importanti e sicuramente quelli realizzati con Visconti e Strehler occupano un posto speciale. Gli spettacoli messi in scena con dei grandi registi sono stati i più significativi. È bello poter condividere il proprio mestiere con un importante professionista del settore; ogni collaborazione ti arricchisce molto e ti spinge ad andare avanti.

Musicultura promuove cantautori emergenti. A chi si affaccia per la prima volta nel mondo della musica, e quindi anche dello spettacolo, quale consiglio si sente di dare?

Bisogna sentire veramente il desiderio di intraprendere questo lavoro, oppure fare come me, che ho iniziato la mia carriera per fuggire da un qualcosa, cercando di trovare in maniera attiva, a tutti i costi, una via da seguire.