Mimmo Locasciulli è medico e cantautore. Era solo un bambino quando si avvicinò alla musica, una passione ereditata dalla sua famiglia. Qualche anno più tardi invece inizia a studiare medicina.
Sono proprio questi due interessi a essere al centro del suo ultimo libro autobiografico, intitolato “Come una macchina volante” e presentato a La Controra di Musicultura assieme al poeta Ennio Cavalli. Tra curiosità personali e riflessioni sulla sua carriera musicali, in questa intervista ripercorriamo il percorso artistico del cantautore abruzzese.
“Come una macchina volante” è una riflessione sui momenti più significativi della prima parte della sua vita. Come mai ha deciso di realizzare un progetto del genere?
Premetto subito che non avevo intenzione di scrivere un’autobiografia; volevo raccontare quali sono stati i passaggi determinanti che mi hanno portato a desiderare di perseguire la carriera scientifica e di fare il musicista, fin da bambino, da quando in casa arrivò un pianoforte. La mia famiglia, di generazione in generazione, ha coltivato questi interessi; così sono cresciuto con la passione per la musica e per la scienza.
La musica e la medicina sono quindi le sue più grandi passioni: qual è la canzone che ha su di lei un effetto “curativo”?
La musica mi aiuta moltissimo. Io spesso canto per me, più che per il pubblico. Ad esempio, durante i concerti ho una scaletta di 25 pezzi, di cui 15 sono previsti, già stabiliti, mentre i restanti vengono improvvisati al momento. I miei musicisti questo già lo sanno: quando comincio con delle note, loro vanno avanti e mi seguono. I miei brani e quelli degli altri hanno dunque su di me un effetto curativo.
Probabilmente la sua cifra artistica è la sperimentazione. Tra tutti i generi musicali a cui si è avvicinato, qual è quello che sente più vicino?
Tutti quanti. Ho studiato la musica classica, che amo tuttora; ho avuto sconfinamenti nel blues e nel rock. Mi piace anche il folk, la canzone d’autore. Poi ho lavorato ad alcuni progetti anche con Frankie hi-nrg mc, che è un rapper incredibile. Sono attratto da ogni forma musicale. Per me i generi musicali possono essere belli o brutti: i primi sono quelli che ti lasciano qualcosa dentro, che ti fanno ricordare, amare, detestare, che suscitano quindi delle sensazioni. Non amo invece la musica di sottofondo, ad esempio quella che mettono negli ascensori, nei supermercati, perché è detestabile.
Stiamo assistendo ad una fase della discografia in cui la promozione della musica avviene tramite piattaforme social e talent. Musicultura vuole da sempre rafforzare la relazione diretta tra l’ascoltatore e il cantautore. Qual è il ruolo dello spettacolo live? E il pubblico come vive il rapporto con l’artista?
Ho sempre pubblicato dischi per avere poi la possibilità di fare dei concerti. Il bello del lavorare ad un album non avviene in sala di registrazione, che è un momento pieno di attese e di cose noiose; è proprio incontrando il pubblico che arriva la liberazione. L’importante è essere consapevoli del valore dell’esibizione dal vivo di fronte ad una platea che è lì per te. Le persone ti ascoltano e al tempo stesso ti danno la giusta carica: è questo un aspetto bello del mio mestiere, ovvero il confronto con la gente e le risposte che questa riesce a darti.
Ha una lunga carriera alle spalle, nel 2016 ha celebrato i 40 anni di carriera con il disco “Piccoli cambiamenti”. Ci spiega il perché di questo titolo?
Nel corso della mia vita sono stato testimone di tante trasformazioni in ambito musicale, politico e sociale. Dai Beatles in poi la scena artistica ha cambiato fisionomia. Il rock e il punk hanno definito una visione del mondo che era più simile alla realtà; prima invece le canzoni erano edulcorate. La musica ha aiutato, sempre di più in tutti questi anni, a capire come andavano le cose; ha dunque rappresentato, nella sua storia, importanti cambiamenti storico-politici. Oggi purtroppo un brano viene concepito per la sua fruizione e per il proprio consumo. La mia storia musicale invece non è fatta di grandi ma di piccole evoluzioni, che non hanno mai stravolto la mia riconoscibilità artistica. È per questo motivo che ho deciso di dedicare questo disco ai piccoli cambiamenti che ho vissuto. È stato un po’ come festeggiare un compleanno insieme ai miei amici, dal momento che con me hanno collaborato colleghi che da una vita mi sono vicini, come Luciano Ligabue, Francesco De Gregori, Enrico Ruggeri e altri.