Giornalista, opinionista e scrittore: Giampiero Mughini è un personaggio eccentrico ed eclettico che riesce a coniugare diversi interessi, come la politica, l’arte e il calcio.
Alla fine degli anni ‘60 Mughini parte dalla sua Sicilia e approda a Parigi dove vive un suo personale ‘68, trama del libro “Era di maggio. Cronache di uno psicodramma”, presentato ieri alla Biblioteca comunale Mozzi Borgetti di Macerata.
La redazione di Sciuscià l’ha incontrato per un un’intervista.
Si è autodefinito un “provocatore”. Pensa sia un aspetto intrinseco dell’opinionista? Cosa significa per lei provocare?
No, mi definiscono tale ma io non credo di esserlo; dico cose assolutamente ovvie, che non corrispondono alle idee della maggioranza delle persone, soprattutto la maggioranza dei cretini. Provocare significa scompigliare un po’ le carte in tavola: a chi è abituato a pensare in una certa maniera, io gli mostro il mio modo di vedere le cose, così lui si sforza di capire. Bisogna migliorarsi perché le idee, nel corso della vita, cambiano; poi c’è gente che impara una cosa a vent’anni e ci crede per sempre.
A proposito del suo libro “Un disastro chiamato Seconda Repubblica”, pochi giorni fa abbiamo assistito alla nascita di un governo formato da due forza politiche opposte, che non erano mai arrivate al Colle prima d’ora. Nel dibattito tra chi afferma che sia iniziata una “Terza Repubblica” e chi si vede ancora della Seconda, lei in quale pensiero si riconosce?
In effetti le cose sono cambiate molto dalla Seconda Repubblica, innanzitutto per il fatto che c’è un elemento politico nuovo rappresentato dal Movimento Cinque Stelle; io non ho votato questo partito e non l’avrei mai fatto. In ogni caso penso che si possa parlare di una Terza Repubblica; staremo a vedere cosa ci riserverà il futuro. Gli italiani ora devono essere attenti su ciò che accade nel nostro Paese, che sta attraversando una situazione difficile.
A La Controra ha presentato “Era di maggio. Cronache di uno psicodramma.” A cinquant’anni dal ’68, cosa non abbiamo saputo preservare dello spirito di quelle lotte e rivoluzioni sociali e politiche? In momento storico in cui la libertà di espressione viene sottoposta sempre più alla censura, come sta accadendo in Turchia, in che modo si potrebbe reagire?
Non è esatto metterla così, perché la situazione è troppo cambiata; il Sessantotto è entrato nelle ossa di tutti quelli che ebbero vent’anni in quel momento storico. Noi comunque viviamo in un paradiso, perchè in Russia, in Turchia, in Venezuela, in Iran e in mille altri posti la libertà di espressione è un lusso. In Cina c’è gente condannata ad anni e anni di prigione per aver espresso la propria opinione, per aver scritto un articolo o aver distibuito un volantino. Ognuno di noi è impotente. È importante preservare le libertà che abbiamo in Italia. Naturalmente, cosa molto diversa dalla libertà di espressione, è quellla di insulto, di cui ne sono una testimonianza i contenuti pubblicati sui social network, verso i quali io ho moltissime riserve. Capisco però che le nuove generazioni non riescano a fare a meno delle nuove tecnologie.
A Musicultura i cantautori raccontano, attraverso l’arte della musica e della parola, la società in cui vivono. In che modo un artista si può definire rivoluzionario?
Un artista è sempre rivoluzionario quando fa qualcosa che non è mai stata fatta prima; una canzone, uno spettacolo teatrale o un film costringe il pubblico ad accettare il cambiamento e ad adattarsi. Ognuno apporta un elemento nuovo nel mondo artistico: la rivoluzione deve intendersi in questo senso, come un trasformazione inedita. Un regime non si mostra mai come un’innovazione.