“Cantautore piccolino confrontato a Paoli Gino”: si definisce così in un suo brano Sergio Cammariere, riconoscendosi come allievo di una scuola cantautorale italiana, quella genovese, che annovera nomi celebri, come Fabrizio De André, Luigi Tenco, Bruno Lauzi e Gino Paoli, con il quale ha collaborato e suonato in varie occasioni.
Artista raffinato e aperto anche a suoni internazionali, dopo aver composto molte colonne sonore per svariati registi, pubblica nel 2002 il suo primo disco, “Dalla pace del mare lontano”. Seguono poi numerosi lavori: “Cantautore piccolino”, “Carovane” – per ricordarne alcuni – “Piano”, del 2017, un album incentrato, appunto, sulla sola melodia del pianoforte, senza intromissione della voce. In occasione della sua partecipazione a Musicultura 2018, Cammariere parla di sé e della sua musica con la redazione Sciuscià.
Prendiamo in prestito le parole di un suo testo: “tutto quello che un uomo” come lei ha vissuto nella sua carriera, con quali parole si potrebbe descrivere?
Con le stesse parole che ho utilizzato nelle mie canzoni. “Tutto quello che un uomo sognare potrà”: tutto è partito da un sogno che si è avverato. È stato qualcosa di straordinario. È accaduto che, dopo tantissimi anni di gavetta, a 42 anni mi sia trovato a Sanremo a cantare questa bella canzone.
La sua musica si apre a sonorità internazionali; ci sono degli elementi musicali di altri paesi che le piacerebbe sperimentare e che attualmente la incuriosiscono?
Certamente. Ho realizzato già sette album da cantautore e tante colonne sonore; mi piace molto mettermi alla prova. Voglio ricordare un disco del 2009 che è stato molto sperimentale: si chiamava “Carovane”; in quel lavoro ho coinvolto, oltre alla mia famiglia del jazz, anche dei musicisti indiani con il sitar e le tabla, ai quali si è aggiunta poi anche l’orchestra d’archi. È un progetto che include sonorità molto particolari: la sperimentazione per i creativi è fondamentale, perché grazie ad essa è possibile conoscere sentieri nuovi e linguaggi diversi per comunicare l’anima.
Il suo ultimo album, “Piano”, è puro suono ed esprime il rapporto profondo tra lei e il pianoforte; è un gesto d’amore verso il potere riflessivo della musica, dunque. Come nasce l’idea di pubblicare un lavoro solo strumentale?
L’idea è partita tanti anni fa: la mia amica Maria Sole Tognazzi mi chiese dei pezzi strumentali per il suo film “Ritratto di mio padre”, dedicato a Ugo Tognazzi. Così nel 2011 ho iniziato a scrivere dei brani con l’accompagnamento del solo pianoforte. Poi altri registi esordienti mi hanno chiesto altre musiche, che ho composto negli anni successivi. A mano a mano si è formata una scaletta di 30 singoli e tra questi ne ho scelti 16 che sono entrati a far parte di “Piano”. Non è quindi un disco nato negli ultimi 3 mesi, ma è un album pensato in sette anni, che ha dunque avuto una lunga incubazione. Sono contentissimo di esprimere attraverso questi pezzi la parte più profonda di me, perché mi sono messo veramente a nudo, accompagnato dal mio strumento: senza voce, senza parole.
“Cantautore piccolino confrontato a Paoli Gino”, cantava qualche tempo fa in una sua canzone; poi però ha duettato con Paoli nel brano Cyrano e insieme avete fatto diversi concerti. Quanto ha influito la musica del maestro sul suo percorso artistico? Com’è nata la vostra collaborazione?
Sì, il nostro prossimo concerto sarà il 25 giugno al Teatro Petruzzelli di Bari. La musica di Paoli ha influito tantissimo, perché lui è un grande maestro, un patriarca ed è un rappresentante della grande scuola genovese. Io e Gino nei nostri spettacoli omaggiamo questo panorama artistico e i grandissimi cantautori che ne hanno fatto parte: suoniamo dei brani di Tenco, di Bindi, di Lauzi e anche di Endrigo, che sono stati dei grandi patriarchi della canzone italiana. Paoli lascerà nel firmamento della musica mondiale almeno dieci hit di successo, come La gatta, Sapore di sale, Una lunga storia d’amore e Senza fine. La nostra collaborazione è nata perché ho incontrato 4 anni fa il suo manager, Aldo Mercuri, che poi è diventato anche il mio. Era un ex musicista di Gino, suonava il basso; adesso invece è diventato il nostro agente.
Quello di oggi è un ritorno, perché più di dieci anni fa si è già esibito sul palco di Musicultura. Ci vuole raccontare com’è stata quella esperienza?
Ogni volta che torno allo Sferisterio provo sempre una bella emozione. Prima di salire sul palco sono assai preso e ansioso. Non so perché mi viene in mente questo aneddoto: ricordo che quando mi sono esibito per la prima volta a Musicultura, con me c’era anche Fiorello; mi lanciò una bottiglietta d’acqua e io non riuscii ad afferrarla al volo. Credo che l’Arena abbia un’atmosfera molto particolare e suggestiva.