Dario Brunori, in arte Brunori Sas, è stato uno degli ospiti più attesi di questa XXIX edizione di Musicultura; reduce dall’esperienza televisiva del suo primo programma “Brunori Sa”, andato in onda la scorsa stagione su Rai3, domenica 17 giugno il cantautore siciliano è tornato ad esibirsi sul palco del Festival e a La Controra, occasione in cui ha intrattenuto il pubblico con i racconti incentrati sulla sua musica e sulla vita professionale.
Membro del Comitato Artistico di Garanzia del concorso, Brunori ha avuto un ruolo importante nella scelta degli 8 vincitori, avendo ascoltato il disco contenente i brani dei 16 finalisti di Musicultura e avendo dato un voto alle proposte artistiche che ha ritenuto più interessanti. In riferimento alla sua musica socialmente “impegnata”, grazie alla quale ha ottenuto grandi riconoscimenti, ha confessato: “Ho avvertito un’emergenza emotiva di raccontare la cronaca”. È un artista, oltre che uno dei più famosi cantautori della scena musicale italiana, che negli anni ha saputo raccontare la società con parole semplici e vere, mantenendo un proprio stile e facendo dell’onestà artistica la sua cifra stilistica. Anche alla redazione di Sciuscià ha voluto parlare delle tante sensazioni e dei pensieri racchiusi nelle sue canzoni, ma anche del nuovo progetto vissuto come conduttore.
L’Amnesty International Italia ha premiato il suo pezzo, L’uomo nero, come miglior brano sui diritti umani. Un testo sottile e politicamente impegnato. Com’è nato? C’è stato un evento particolare che l’ha spinto a scrivere di intolleranza?
Sì, la storia è nata quando ho incontrato un ragazzo sulla linea 90 a Milano, che cantava il Corano. Questo evento ha scatenato in me una sorta di attrito tra il mio non essere influenzato da ciò che mi circonda e la realtà intorno, fatta di una serie di paure che pensavo di non avere. Quel momento e tante altre occasioni mi hanno spinto a scrivere il pezzo. Ho sicuramente cercato di raccontare da una parte la sensazione di amarezza che stiamo vivendo tutti, dunque la consapevolezza che ci sia un ritorno di fiamma di alcune vicende che pensavamo fossero seppellite, di paure e pregiudizi considerati ormai lontani; dall’altra invece l’idea che di fronte a tutto questo non possiamo puntare il dito contro qualcuno e ammettere che alcuni argomenti non ci interessino. Dobbiamo provare a comprendere noi stessi e le nostre angosce per capire anche gli altri, cercando così di trovare una chiave di lettura che non sia solo “io sono contro di te perché tu pensi qualcosa che per me è assurdo”. Citando una frase attribuita a Gaber, ognuno deve analizzare prima il mostro che ha dentro, per poi capirlo. In ogni caso, molte cose che sto dicendo adesso le sto comprendendo mano a mano, a posteriori; nel momento in cui scrivo sono spinto dalle mie emozioni e non so davvero i motivi che ci sono dietro ad alcuni argomenti che affronto nei miei brani.
Restando in tema, secondo lei perché si avverte di più questa intolleranza di cui parla? Come mai sta aumentando il nazionalismo e forse il cinismo, nel nostro Paese?
Sicuramente il motivo risiede nell’incertezza e nell’insicurezza nei confronti del futuro. Lo straniero è sempre stato il bersaglio più semplice; questo lo dicono anche molti di studiosi. Accusare una minoranza è più facile e consente di dare spiegazioni che altrimenti sarebbero troppo complesse da ricercare. Noi sappiamo benissimo che la realtà che viviamo oggi non può essere causata semplicemente dall’arrivo di altre persone nel nostro Paese; così capita che l’immigrato viene visto come una sorta di capro espiatorio, un problema concreto e visibile. Baumann affermava che se non ci fosse stata la figura dello straniero, qualcuno avrebbe dovuto inventarla. Chi governa sa che è facile agire in questa direzione. Purtroppo, come diceva una famosa sentenza di un filosofo, quando c’è in atto una guerra tra le fasce dei più poveri, il massimo potere ne esce vincitore e a lui conviene questo odio.
Quest’anno ha indossato anche le vesti di conduttore televisivo e protagonista in “Brunori Sa”, un programma di ironia, poesia e musica. Com’è nato questo progetto?
È nato un po’ per caso e senza tante aspettative. Abbiamo voluto creare una trasmissione che potesse fungere da documentario, da fiction e da serie televisiva. Ad ogni puntata ho invitato alcuni amici: cantautori e non, per cui provo ammirazione o con i quali ho instaurato, negli anni, rapporti di amicizia. È stato fondamentale che io già conoscessi le persone che ho voluto nel mio programma, perché con loro ho avuto la giusta confidenza per trattare alcune tematiche. L’argomento di ogni episodio è stato poi decisivo nella scelta sia delle materie da affrontare, sia dei brani da eseguire.
Molti la etichettano nel genere “indie”, nato per contraddistinguere gli artisti indipendenti. Com’è cambiato questo stile? Chi sono oggi i cantautori indie?
L’indie è un contenitore di cose diverse fra loro, ma allo stesso tempo collegate da un’attitudine a creare “dal basso”, per far sì che i progetti vengano fuori quasi in una maniera spontanea. Gli artisti indie non si sono mossi secondo le regola classiche della discografia “ufficiale”; partendo da questa premessa, c’è distanza dal percepire lo stile indipendente come un’estetica musicale. C’è da dire che oggi identifichiamo con l’indie l’itpop, una corrente melodica, all’italiana, che racconta situazioni vicine ad una parte della società, quella dei giovani. Personalmente io non mi riconosco nell’atteggiamento attuale dell’indie; questo genere prima era caratterizzato da suoni aspri, si poteva definire combattivo e combattente. Adesso analizzare i suoi contenuti può essere interessante; si potrebbe fare un confronto con la narrazione degli anni ’90 e quella attuale, in modo da cogliere i cambiamenti della società e della fascia giovanile.
Facendo parte del Comitato Artistico di Garanzia del Festival, ha ricevuto il disco con i brani dei 16 finalisti di Musicultura, per poter ascoltare e valutare le proposte in concorso. Su quale aspetto si è focalizzata di più la sua scelta di voto?
Mi hanno sorpreso maggiormente le proposte artistiche che hanno un qualcosa di innovativo da raccontare. Come ascoltatore cerco degli elementi che vadano al di là della tradizione, seppure come cantautore sia legato ad essa. Sollecito a proseguire il loro percorso quegli artisti che, anche in modo naïf, mi fanno provare stupore, curiosità e voglia di conoscenza.