INTERVISTA. Franz Di Cioccio a Musicultura: “Vi racconto come abbiamo vissuto il Rinascimento della musica italiana”

A parlare della Premiata Forneria Marconi, pietra miliare della storia del Progressive Rock e leggenda internazionale fin dagli anni ’70, è Franz Di Cioccio, frontman e batterista della band, ospite de La Controra e della prima Serata Finale di Musicultura; mercoledì 19 Giugno, l’artista ha raccontato le tappe del Rinascimento della musica italiana e di quando nel ’74 registrò un disco live tra il verde e i grattaceli, nell’Hyde Park di New York. Poco prima dell’incontro con il pubblico al Palazzo Conventati, Di Cioccio ha rilasciato questa intervista alla redazione di Sciuscià.

Vi esibite senza sosta dagli anni ’70, siete reduci dall’intenso tour mondiale “Emotional Tattoos tour”, che ha fatto tappa in Giappone, in America, nel Regno Unito e nel nostro Paese. Come accoglie il pubblico internazionale la vostra musica?

Bene, abbiamo abituato il pubblico tanto tempo fa alla nostra musica. Difatti, abbiamo iniziato presto a suonare all’estero, pensando fosse troppo riduttivo esibirci solo nel nostro Paese, considerando che il confronto con altre persone ci avrebbe offerto ulteriori possibilità di crescita. Siamo incuriositi dalla continua ricerca di stimoli e suoni: è la chiave del mestiere di musicista. Mano a mano questa strategia si è consolidata, di pari passo al nostro confronto con più tipologie di ascoltatori. Il coronamento della scelta di suonare all’estero è stata la vincita, lo scorso anno, del titolo di Band Internazionale all’International Prog Awards, dopo un contest del Prog Magazine inglese, rivolto a lettori di tutto il mondo. Ci capita spesso di cantare in italiano, fuori dal nostro Paese. Infatti “Emotional Tattoos” è stato registrato nella doppia versione. Nonostante questo, nell’ultimo concerto londinese abbiamo cantato in lingua originale per la melodia, la dolcezza e la poesia di alcuni testi.

Una carriera al fianco di De André, la vostra. I brani di Faber appartengono anche a questa nostra società, cinica e disincantata. In che modo, oggi, è possibile raccontare quelle tematiche cantate da Fabrizio, che continuano a essere ancora attuali?

Il nostro incontro con De André è stato un evento eccezionale, nato da una mia intuizione. In America abbiamo constatato che i generi sono rispettati e non vengono discriminati, perché chi fa musica fa parte del tessuto sociale e culturale del Paese: nascevano infatti collaborazioni molto interessanti tra cantautori e band; basti pensare a Jackson Browne con gli Eagles o Bob Dylan con i The Band. Il pubblico italiano però non era abituato a questi incontri e a questi approcci alla musica. La PFM aveva già lavorato con Fabrizio per “La buona novella”; un giorno ci venne ad ascoltare a Nuoro e ci invitò a pranzo. Ne approfittai per fargli una proposta indecente, prendere coraggio e fare quello che nessuno in Italia aveva mai fatto. Inizialmente titubante, vista la sua natura ostinata e contraria, disse “Belin, è pericoloso!? allora lo faccio!”. Abbiamo messo a sua disposizione un patrimonio musicale. Tutto questo non ha segnato solo la storia della nostra discografia, ma anche il senso della musica in Italia, dimostrando che la condivisione artistica, nella nostra ricerca e sperimentazione, avrebbe dato un grande apporto alla diffusione della poetica dei suoi testi all’interno delle canzoni.

La fruizione e la produzione della musica subiscono continuamente evoluzioni. In che modo vi approcciate ai cambiamenti, sempre più frequenti, del mercato musicale?

Non credo nel mercato musicale, propenso soltanto alla vendita dei dischi, magari di quelli più orecchiabili. Confido però nel talento delle persone. Non esiste un genere che ti fa vendere con assoluta sicurezza; esiste la capacità dell’artista, che dà la giusta carica all’animo. A discapito dei fenomeni indotti, quelli spontanei sono più duraturi perché più liberi. Non c’è una regola per arrivare al “successo”, participio passato del verbo succedere. Prima bisogna produrre un bel disco; solo quando è successo, allora arriva il successo.

La vostra storia è segnata da tanta musica e innumerevoli collaborazioni. Qual è il prossimo progetto della PFM? 

Quest’anno abbiamo fatto la tournée “PFM canta De André Anniversary”, perché spesso le cose belle in Italia non vengono ricordate. Eppure, ci sono state 45 date sold out, 6 delle quali solo a Milano. Abbiamo suonato con rigore e con maestria, ma soprattutto con passione. Fabrizio è come un’autostrada: ti fa viaggiare dove vuoi, sapendo che sarà un viaggio lungo. Il prossimo progetto? Fare un disco diverso, quindi non sapere cosa riserverà il domani. Nel futuro c’è l’intrigo, che manca nella replica di una cosa che ha già il profumo di successo. Se scaviamo attraverso le emozioni, tra i ricordi e tra i viaggi, arriverà un’idea nuova: quello sarà il prossimo album!

Quale consiglio dareste agli otto vincitori di Musicultura, per vivere una carriera premiata e fortunata come la vostra?

Uno dei consigli più semplici: essere quello che si è e mai quello che si vuol sembrare. Per fare heavy metalnon basta comprare un chiodo e suonare la chitarra bassa; l’hanno già fatto. Bisogna raccontare ciò che ci fa gioire o soffrire. Non tutti i sogni vengono subito a galla; qualcuno diventerà realtà inaspettatamente.