Mercoledì 19 Giugno Fabio Frizzi è tornato a Macerata, come ospite di Musicultura. Proprio lo scorso anno, l’artista è salito sul palco dello Sferisterio, per ricordare suo fratello Fabrizio con gli amici del festival. Chitarra alla mano, a La Controra, l’artista si è esibito in una rivisitazione dei più celebri brani del cinema italiano. Alla redazione di Sciuscià ha rilasciato questa toccante intervista in cui parla anche del rapporto con il fratello.
Con l’avvento del digitale e con la produzione sempre più cospicua delle serie tv, il cinema sta progressivamente perdendo la sua leadership. A tal proposito, come vedrebbe un suo eventuale passaggio definitivo dal grande al piccolo schermo?
Verso la fine anni ’90 ho avuto la fortuna incontrare il regista Vittorio Sindoni, che mi ha coinvolto per circa dieci di anni in una fiction, che io ho reinterpretato esattamente con lo stesso metodo che utilizzo lavorando per il cinema. Ogni puntata, l’ho considerata un film a sé stante. Anche se oggi si sta andando verso altre frontiere, io continuo a difendere il grande schermo, per la sua importanza.
Per anni ha lavorato al fianco del celebre regista Lucio Fulci. C’è, nel panorama cinematografico italiano contemporaneo, una figura che possa essere considerata l’erede spirituale del suo cinema?
Lucio ha lasciato la sua eredità lontano dalla sua terra. Anche se nel nostro Paese ci sono cineasti molto validi, questo è un Paese un po’ sterile nell’accettare o, più semplicemente, nell’ascoltare le esigenze e le idee dei giovani. Il cortometraggio ne è un esempio, tanto apprezzato all’estero quanto sottovalutato in Italia. Dunque il semino piantato da Lucio, col cinema di genere artigianale – tanto amato oggi – sta crescendo, ma di più all’estero.
L’arrangiamento di una colonna sonora avviene dopo un primo assetto di montaggio o la musica viene concepita prima, durante l’ideazione del film insieme al regista. Qual è il tipo di approccio più in voga, oggi?
Dipende molto dalle situazioni: ci sono delle volte in cui ti chiamano per lavorare, a film girato, e hai modo di vedere il montaggio. Se il regista fosse un sarto, la sceneggiatura sarebbe il cartamodello del film, un pezzo fondamentale dell’opera. Questo è l’aspetto più delicato: ogni volta hai un riferimento nuovo e anche una brillante idea può essere considerata non valida. Servono umiltà e voglia di lavorare, in una qualsiasi professione. Il mio è un mestiere difficile, ma dà grandi soddisfazioni.
Quale potrebbe essere la colonna sonora perfetta per Musicultura?
Un mio brano, che potrei comporre in futuro. Mi piace molto com’è organizzato questo festival e lo spirito che si respira nell’aria, che permea completamente la città. Sarebbe bello scrivere un inno per i 30 anni di Musicultura. Senza dubbio, dovrebbe trattare il tema dell’amore.
Fabrizio, un amico fedele di Musicultura. C’è un momento o un aneddoto legato al festival, che suo fratello le ha raccontato?
Mi raccontò di essere venuto a Musicultura, il primo anno della sua conduzione, con un grande punto interrogativo in tasca. Eravamo già stati insieme allo Sferisterio un po’ di tempo prima, per uno spettacolo. Sin da subito mi ha parlato benissimo di questa realtà. Ha sempre vissuto il festival con grandissimo entusiasmo, quasi come se lo considerasse un regalo da conservare gelosamente. Durante la malattia, uno dei suoi rammarichi maggiori era proprio la paura di non riuscire ad arrivare alla settimana finale del concorso. Qui a Macerata ho trovato l’eredità di Fabrizio: la gente mi ricorda lui, come anche la città, tra i pochi luoghi che mi fanno vivere bene la mancanza di mio fratello. Lui aveva la caratteristica di essere una persona buona, capace di farsi carico delle cose belle e dare importanza a tutto quello ciò che merita di avere risalto. Voi avete perso un grande amico, io un grande fratello. Ce lo ricordiamo sempre, lui è qui!