Giovedì 20 Giugno l’autorevole e carismatico storico Giordano Bruno Guerri ha presentato il suo ultimo libro Disobbedisco. Cinquecento giorni di rivoluzionea La Controra di Musicultura, nel cortile di Palazzo Conventati. Accademico, Presidente e direttore generale della Fondazione Vittoriale degli Italiani, Guerri si è raccontato al pubblico, ripercorrendo i tratti salienti della sua vita professionale e privata: la famiglia, gli interessi, le prime esperienze tv e l’amore per Gabriele D’Annunzio.
Il suo ultimo lavoro tratta la celebre presa di Fiume del Vate, che per sedici mesi fu teatro di cospirazioni, feste, beffe, battaglie, amori, in un intreccio diplomatico e politico sospeso tra utopia e realtà. Cercando di valorizzarne gli aspetti innovativi e inediti, l’autore ha sottolineato come quell’impresa non fu solamente il gesto plateale di un poeta esteta, ma fu anzitutto la realizzazione politica di una «controsocietà» sperimentale.
In questi giorni gli studenti stanno svolgendo gli esami di maturità, senza una prova puramente storica: ritiene che lo studio della storia non sia adeguatamente valorizzato nella scuola come nella società di oggi?
È gravissimo che la storia non sia prevista negli esami, in quanto è la conoscenza del nostro passato e consente di capire il presente e progettare il futuro. Senza questo tipo di apprendimento, un popolo è mutilato e non potrà capire da dove viene la propria cultura.
Disobbedisco. Cinquecento giorni di rivoluzioneè una delle tante opere in cui racconta le gesta e la vita del poeta Vate della letteratura italiana. Come nasce l’interesse per Gabriele D’Annunzio?
L’interesse per D’Annunzio nacque mentre lavoravo alla tesi di laurea, ricercando il materiale di cui avevo bisogno negli archivi del Vittoriale. In quel periodo decisi di voler scrivere un libro, che pubblicai quindici anni dopo.
L’impresa di Fiume, da come spesso viene raccontata, sembra aver avuto più che un valore storico uno estetico, considerato come il gesto di un letterato al centro dell’opinione pubblica. Quei 500 giorni che cosa hanno significato per la storia italiana?
In realtà è una credenza che deriva da un errore storiografico e fu sicuramente un gesto nazionalistico logico. Si pensi, ad esempio, al clima post primo conflitto mondiale, quello che D’Annunzio chiamava Quarta Guerra d’Indipendenza. Da quel momento, prese il via una rivoluzione sociale, politica ed economica, come dimostra la Carta del Carnaro, la costituzione rivoluzionaria che il Vate diede a Fiume.
Per rimanere in tema, lei è Presidente della Fondazione Vittoriale degli Italiani, di cui è anche direttore generale. Quali sono gli aspetti del poeta che ha voluto valorizzare, per suscitare nuovo interesse nei confronti della sua figura?
D’Annunzio viene considerato un decadente, lussurioso, peccatore e protofascista. Ho cercato, con buoni risultati, di modificare questa sua rappresentazione. Fu in realtà un modernizzatore che trasformò la società italiana, fatta di una piccola borghesia ottocentesca, in una società più dinamica e aperta. Una cosa tengo a sottolineare: non fu mai fascista.
Sarà ospite di Musicultura: quale genere musicale ascolta? Se dovesse scegliere un brano più significativo della sua vita, quale potrebbe essere?
Ascolto musica rock e pop, in prevalenza quella degli anni ’60 e ’70: Frank Zappa, Beatles e Rolling Stones. Un mio brano preferito? Love in vaindei Rolling Stones.