Il sabato de La Controra ripercorre La fine del sogno, quello dei Beatles, con un grande giornalista, conduttore televisivo e radiofonico: Carlo Massarini. Un artista completo che ricordiamo soprattutto, ma non solo, per Mister Fantasy – Musica da vedere e Non Necessariamente, trasmissioni televisive dedicate al rock e in particolare al concetto di videoclip.
Massarini ha rivoluzionato il modo di concepire la musica attraverso le immagini, dedicando la sua carriera allo studio di nuove tecniche cinematografiche e alla grafica computerizzata, che hanno segnato la storia dei video musicali. Nel 2009, a 25 anni di distanza dall’ultima puntata di Mister Fantasy, pubblica Dear Mister Fantasy, fotolibro sugli anni ’70 e ’80, periodi storici che ha raccontato come fotografo e giornalista musicale: un” diario di bordo” per rivivere il rock dell’epoca attraverso parole e immagini, le stesse che il giornalista ha presentato alla redazione di Sciuscià, in questa intervista.
La sua trasmissione Mister Fantasy è stata la prima trasmissione italiana a riprodurre videoclip musicali: cosa ha cambiato il linguaggio del video nel rapporto tra ascoltatori e musica?
Il linguaggio del video ha cambiato il rapporto che l’ascoltatore aveva con la musica e con i musicisti. Si tratta di una rivoluzione: Mister Fantasy nasce come strumento promozionale per poter mandare in diretta televisiva gli artisti senza la loro necessaria presenza fisica. Questo cambiamento venne inizialmente adottato dai Beatles, dai Rolling Stones, dai Quee che volevano mostrare una loro ulteriore dimensione, quella di protagonisti di mini documentari. La realizzazione delle clip divenne così, gradualmente, un’abitudine che Mister Fantasy ha voluto evidenziare. Fu l’impronta di Paolo Giaccio ad approfittarne per farci un programma vero e proprio, per esplorare il mondo del video nelle sue innumerevoli e continue sfumature: video-arte, video-moda, video-architettura. Si creò un’idea onirica della realtà.
Il videoclip ha acquisito sempre più una maggiore importanza, diventando un elemento costitutivo del prodotto musicale, quasi quanto la musica stessa: l’avvento di Internet ha amplificato una tendenza già in atto o ne ha creata una nuova?
Internet è stato importante perché, al di là dell’avere una banca dati pazzesca, ha anche fornito ai musicisti la possibilità di esprimersi in modi diversi. Ci sono stati siti strumentali per la scoperta di nuove band e seguaci, che identificandosi con questi gruppi emergenti, hanno contribuito a costruire quello che oggi definiamo il “social”; ciò ha permesso una cambiamento nel rapporto tra musicisti e pubblico.
Oggi è a Musicultura per parlare dei Beatles: sono state le divergenze musicali a farli allontanarli o quell’invadente successo e tutto ciò che gravitava intorno a loro?
È un insieme di cose. In questa risposta, occorre indubbiamente menzionare Yoko Ono. Lei rappresenta quella forza decisionale mancata a John Lennon, arrivando a chiuderlo in una sorta di bolla autoreferenziale, fino ad allontanarlo dal gruppo. La sua presenza inizia a diventare sempre più fastidiosa: dall’intervento nelle incisioni fino a metterlo in difficoltà con gli altri membri della band. Lo scioglimento de “i quattro di Liverpool” è dovuto anche dal manager americano, Allen Klein, che iniziò a lavorare con la band, impressionando Lennon per la profonda conoscenza dei suoi lavori (recitò a memoria il testo di molti dei suoi brani). Proprio per la sua elevata preparazione, John convinse George Harrison e Ringo Starr che Klein era l’uomo giusto per loro. McCartney, però, dissentì e si rifiutò di firmare un accordo, mandando su tutte le furie i suoi tre compagni di gruppo. Questo fondamentale disaccordo portò allo scioglimento della band. Tutto ciò che è stato fatto dopo, non ha mai raggiunto la consistenza e la continuità di quanto fatto prima, artisticamente.
Secondo lei bisogna guardarsi nostalgicamente indietro, tra le grandi leggende del rock, per trovare gli innovatori o gli “absolute beginners” ci sono ancora oggi?
Per saper rispondere a questa domanda bisognerebbe avere il senso della prospettiva. Ovviamente gli innovatori pescano sempre dal passato. Tutti i grandi della musica hanno un punto di riferimento solido dal quale partire. Non nascondo, però, che anche adesso ci sono proposte interessanti, ma serve una certa distanza storica per giudicarle fino in fondo.
Da giornalista e conduttore radiofonico, quale domanda porrebbe agli 8 vincitori di Musicultura?
Istintivamente chiederei che visione hanno del loro percorso. Quanto hanno intenzione di mettersi in discussione? Quanto sono artisti e quant’è profonda la loro visione in questo momento? Mi piacerebbe sapere da loro dove vogliono arrivare: è importante darsi obbiettivi con una scadenza, avere una solidità interiore.