Dal far west maremmano Lucio Corsi torna sul palco delle Audizioni live di Musicultura

Molto più che un giovanissimo cantastorie, sempre in bilico tra sogno e realtà, tra potenza delle immagini e leggerezza della parola, Lucio Corsi con il suo concept album ‘Bestiario musicale’ è quanto di più iconico ci lascia la nuova generazione di cantautorato italiano degli anni Venti del nuovo millennio.  Con il brano ‘Altalena boy’, Lucio Corsi si faceva conoscere dal pubblico maceratese sul palco dell’Arena Sferisterio qualche estate fa, nel 2017, come vincitore di Musicultura. Quest’anno, a meno di un mese dall’uscita del suo ultimo disco ‘Cosa faremo da grandi’, partecipa come ospite d’eccezione al primo venerdì di Audizioni live della kermesse musicale. Poco prima di salire sul palcoscenico del Teatro Lauro Rossi, si racconta così alla redazione di Sciuscià.

Nella tua musica c’è una Maremma atavica e sognante, con elenchi tassonomici di animali confluiti nel concept album ‘Bestiario musicale’. Qual è il legame con la tua terra di origine, ma anche con la Milano frenetica che ti ha adottato?

Nella Maremma sono nato e cresciuto, in un podere circondato da alberi dell’ombra e non da pali della luce; mi sono abituato alla qualità di un luogo del genere, ovvero alla pace di un bel paesaggio, a una terra adatta alla scrittura. Preferisco ciò che mi offre il far west maremmano alle possibilità di una città, però ovviamente per questo mestiere bisogna spostarsi. In fin dei conti si sta bene anche a Milano, ogni luogo ha i suoi pro e i suoi contro.

Parliamo della tua scrittura, che oscilla spesso tra l’onirico e il favolistico, ammiccando quasi al surreale e al nonsense. È una voluta maschera del reale?

In realtà è un modo diverso di osservare le cose che ci circondano: quando penso alle onde o al vento come fossero personaggi reali arrivo a considerazioni nuove, come se spostassi l’obiettivo da dritto a di lato o a tre quarti. Non è detto che parlando di onde non si possa fare un discorso che comprenda poi anche la sfera umana, le emozioni e i pensieri. Del resto, il vento, il mare, le onde e noi uomini facciamo tutti parte dello stesso pianeta. Non bisogna parlare a dritto delle nostre sensazioni; mi sembrerebbe anche piuttosto noioso. Quando scriviamo siamo liberi e dobbiamo sfruttarla questa libertà.

Sempre a proposito di maschere, anche la tua scelta stilistica non sembra mai semplicemente un vezzo o un gioco, vista la collaborazione con Alessandro Michele di Gucci. Come mai quest’anima glam da rockstar che potrebbe contraddire quella da cantastorie?

Trovo l’estetica del glam rock degli anni Settanta estremamente vicina alle favole, mi sembrano molto adatte l’una alle altre. In realtà non sono appassionato di moda in sé, ma in particolare a quel preciso glam rock, quello di T. Rex, di Lou Reed e di Brian Eno, poiché li ho scoperti in adolescenza e ci sono rimasto molto affezionato. Inoltre, amo pensare a un disco non solo come a un insieme di canzoni ma come a un progetto musicale in cui dare la stessa importanza alla copertina e a come i brani verranno presentati poi in concerto. Difatti, nella ‘Verde milonga’ Paolo Conte diceva che il musicista incontra la canzone sul palcoscenico, come in una sorta di appuntamento; per questo il musicista deve farsi trovare sempre al meglio.

Riguardo invece l’ultimissimo album e il brano omonimo ‘Cosa faremo da grandi’, sembrerebbe una sorta di inno giovanile, di una generazione di ventenni e trentenni tanto disincantata quanto dinamica: è così?

Non credo sia un inno generazionale, né vorrei fare canzoni generazionali. Amo il cantautorato che sa parlare di storie senza tempo, slegato a un preciso momento storico o a fatti dell’attualità; le canzoni di Conte potevano essere del passato negli anni Sessanta ma sono anche del futuro oggi. Non penso che ‘Cosa faremo da grandi’ trasmetta un messaggio disincantato, ma trovo bensì dell’incanto in una visione della vita che festeggi le partenze e non i traguardi, che smonti ciò che si è fatto finora e sia pronta a ripartire ogni volta, senza seguire delle smanie di successo o la volontà di farsi ricordare ad ogni costo.

Con il brano Altalena Boy, ti sei esibito sul palco dell’Arena Sferisterio tra i finalisti di Musicultura 2017. Cosa augureresti ai futuri vincitori di questa edizione?

Auguro ai vincitori di sfruttare l’occasione per imparare ad affrontare palchi del genere, impegnativi come quello dello Sferisterio di Macerata. Per me Musicultura è stata una grande scuola: solo suonando in posti del genere fai davvero esperienza. E che si divertano il più possibile, quella è la cosa fondamentale!

Loretta Paternesi Meloni – Redazione Sciuscià

L’esibizione