L’amato comico, giornalista e blogger romano Diego Bianchi, dal 2003 noto anche con lo pseudonimo di Zoro, si racconta alla giornalista Fiamma Sanò in “La versione di Zoro. Una voce fuori dal gregge”.
Prima dell’evento, organizzato all’interno de La Controra di Musicultura, la redazione di Sciuscià ha intervistato Diego Bianchi, conduttore del popolare programma TV Propaganda Live.
Ultimamente su Facebook hai ripostato uno scatto nostalgico risalente al 2013 raffigurante uno Zoro un po’ turbato al primissimo giorno di riprese della pellicola Arance e Martello, interamente diretto e interpretato da te alla tua prima prova registica. In che modo ti sei avvicinato all’universo cinematografico e, in particolare, alla regia?
Da autodidatta, nel tempo, avevo scritto tante sceneggiature per i miei lavori e avevo anche creato dei lungometraggi per la Rai. Per cui, nel momento in cui ho avuto una storia da raccontare ̶ che era per me la cosa più importante di tutte ̶ l’ho proposta alla Fandango, con cui lavoravo al tempo e con cui lavoro tutt’ora, e che mi ha risposto che la cosa si poteva fare. Ho provato con i miei strumenti, la mia telecamera e le mie conoscenze, ed è venuto fuori un bel lavoro. Poi, ovviamente, mi sono avvicinato al cinema anche e principalmente da cultore medio; non mi definirei nemmeno un appassionato vero e proprio.
In seguito a questa esperienza, torni ufficialmente al mondo del piccolo schermo e dal 2017 sei conduttore su LA7 di Propaganda Live, talk show satirico in onda ogni venerdì in prima serata. Come mai questa inversione di rotta?
In realtà è proprio il contrario perché, prima di cimentarmi nella regia di Arance e Martello, ero già reduce del mio primo anno di Gazebo su Rai3 e venivo comunque da The Show Must Go Off, e da tutti gli anni di lavoro con Serena Dandini; ormai lavoravo in TV. La digressione è stata quella cinematografica. Pensavo che fare un film fosse un’esperienza unica, che andava provata prima o poi, ma per la quale era importante avere sia del tempo che delle storie da raccontare. Per il momento non ho nulla in mente e non rientra tra le mie priorità assolute fare cinema, ma non nego un possibile riavvicinamento all’universo cinematografico in futuro.
Perla del palinsesto de La7, Propaganda Live è tra le trasmissioni che meglio hanno retto il colpo del lungo lockdown dei mesi scorsi e riprenderà regolarmente l’11 Settembre. Come sei riuscito a portare avanti il programma senza interruzioni, nonostante l’emergenza sanitaria in corso?
Siamo andati avanti tra tante difficoltà. A un certo punto abbiamo perso il pubblico ed è stata dura. Abbiamo fatto di necessità virtù, chiedendoci più volte quanto e se avesse senso, data la drammaticità del momento, andare avanti col nostro modo di raccontare le cose, che è serio ma anche leggero, e non solo ansiogeno come tanta dell’informazione che è stata fatta in quei giorni. Avere una voce un po’ diversa dalle altre ha probabilmente contribuito a far sì che tante persone si affezionassero a noi e che iniziasse a seguirci persino più gente del solito. Che poi banalmente ci fosse più gente a casa davanti al televisore l’abbiamo considerato, ma comunque ci ha fatto piacere che, tra le tante offerte, aspettassero e scegliessero noi.
Questo è stato ciò che ci ha fatto capire che forse era giusto continuare, nonostante l’angoscia tremenda che tutti provavamo. Sono meriti reciproci. Ci siamo fatti forza a vicenda con chi ha continuato a seguirci.
La caratteristica principale che colpisce del tuo modo di fare giornalismo è certamente la schiettezza con cui affronti i tuoi argomenti. Ma il raccontare in maniera così onesta e sfacciatamente sincera senza filtro alcuno, se non la tua immancabile e pungente ironia, ti ha mai messo in difficoltà?
Le difficoltà ci sono sempre. Io racconto solo quello che vedo.
Quando fai questo lavoro hai anche la responsabilità di raccontare le storie che ti vengono riportate esattamente così come sono. Cerco di essere il più naturale possibile, non faccio particolari censure se non quelle dettate dal buon senso. Grosse difficoltà non me ne ha mai create.
Conduttore televisivo, YouTuber, blogger, giornalista, autore, comico, e persino regista: in poche parole, chi più ne ha più ne metta. Diego Bianchi è un personaggio crossmediale che conosce molto bene il mondo dello spettacolo. Che consiglio regaleresti agli otto vincitori di Musicultura per stimolarli a proseguire il proprio percorso artistico?
Che consiglio gli darei? Sono già vincitori! Non hanno bisogno di consigli, quello che stanno facendo lo stanno facendo bene. Scherzi a parte, l’unico consiglio sincero che mi sento di regalare è di divertirsi e di provare ad essere innovativi sempre e il meno ripetitivi possibile rispetto all’esistente; di non scadere mai nella banalità per raggiungere la popolarità.
Hai partecipato come musicista a un evento collaterale del nostro festival: ci racconti quell’esperienza?
Si, ho partecipato al Festival, allora Premio Recanati, vent’anni or sono, nel 1996, con il mio gruppo Original Slammer Band, di matrice fortemente ciociara, fatta eccezione per me che ero l’unico romano. Andavamo forte, ci siamo anche autoprodotti 5 o 6 dischi ed al tempo eravamo stati selezionati da Musica che era l’inserto de La Repubblica dedicato ai giovani gruppi emergenti.