INTERVISTA. “Musicultura è la prova che esiste ancora una canzone libera”: il ritorno di Roberto Vecchioni a Macerata

“Ma non è vero, ragazzo / che la ragione sta sempre col più forte: / io conosco poeti / che spostano i fiumi con il pensiero / e naviganti infiniti / che sanno parlare con il cielo”: ricordate quando nel 2017 Roberto Vecchioni brillava sul palco dello Sferisterio con la magica Sogna ragazzo sogna, lasciando il pubblico di Macerata incantato e, appunto, sognante? Sono passati pochi anni e il nostro Maestro è sempre una conferma quanto a nobiltà d’animo e grandezza artistica. Per la XXXI edizione di Musicultura ha presentato infatti il suo omaggio commovente al caro amico Piero Cesanelli, ideatore del Festival e suo direttore artistico prematuramente scomparso lo scorso anno, ed ha dato qualche prezioso consiglio ai vincitori del concorso. Poco prima del suo ritorno a sorpresa sul palco dell’Arena, abbiamo avuto la fortuna di incontrarlo in camerino e di confrontarci con lui per questa intervista. 

Nel 2018 è uscito il suo ultimo album in studio, L’infinito, pubblicato per suo volere solo in copia fisica e quindi non disponibile nei digital store. Qual è stata la genesi di questo concept album e come mai questa scelta controcorrente, in un mondo di streaming veloce e fruizioni distratte?

È stata una scelta romantica, di contropotere, una scelta dei vecchi tempi, con il pensiero che chi desidera realmente un disco lo va a comprare, senza ascoltarlo per forza a pezzettini, a brandelli qua e là. Del resto, questa mia opera è il frutto di un anno e mezzo di pensieri e sentimenti, di soddisfazioni e paure: credo di avere il diritto di essere ascoltato per intero. L’Infinito è un disco di grande vita. Siamo nel luogo migliore per parlarne, vicino a Recanati: non dobbiamo ricercare l’infinito chissà dove, ma nella nostra coscienza, nelle nostre attitudini o nella nostra forza di vivere.

Nel 1998 ha curato la voce Canzone d’autore dell’Enciclopedia Treccani. La domanda sorge spontanea: ha notato delle innovazioni notevoli nel mondo della canzone d’autore negli ultimi 20 anni?

Tantissimo! Ci sono state tante diramazioni, ma questi anni hanno visto anche l’ingresso prepotente di un altro modo di fare musica d’autore, più rappata e parlata, o forse anche più stressante e violenta in un certo senso. Si è perso forse un po’ l’andazzo della leggerezza poetica degli anni ‘70. Sono però sorti altri generi altrettanto interessanti, con configurazioni della vita e del pensiero differenti, ma si può trovare il bello anche lì. Non sono di certo un passatista, uno che dice “i miei tempi erano altri tempi”: c’erano quelle precise forme di canzone e stavamo dietro a quelle. 

Dopo la laurea in lettere antiche e una prima parentesi accademica, ha proseguito per trent’anni la sua attività d’insegnante di greco, latino, italiano e storia nei vari licei. Come ha influito la sua spiccata capacità didattica e intellettuale nella sua carriera cantautoriale?

Nemmeno tanto in fin dei conti: tutto nasce dall’idea di esprimere la storia immane che abbiamo dentro, quella ereditata dal mondo antico, dalla memoria e dalla poesia del passato. Così come raccontavo quei sentimenti a scuola, per dare un senso di continuità alla storia, così faccio anche da sempre nella canzone.

Si è anche distinto nel panorama editoriale italiano dall’esordio del 1983 con Il grande sogno ai più recenti romanzi: Il Mercante di luce (Einaudi, 2014) e La vita che si ama (Einaudi, 2016). Ha nuovi progetti editoriali in cantiere?

Sì, a ottobre uscirà il mio nuovo libro per Einaudi, che a tal proposito è la narrazione di un mio anno di scuola, il 1987, ovvero l’ultimo in cui ho insegnato in un certo liceo. Racconto di come facevo scuola insieme ai miei ragazzi, di cosa parlavamo e del perché. Ne è uscito un libro tra il comico e il pensieroso, un romanzo inaspettato perché molte figure della storia e della filosofia vengono ribaltate e messe in discussione, accettate o meno: insomma, come se dalla cattedra gli si desse un voto.

Dopo la sua partecipazione come ospite della XXVIII edizione, Musicultura la riaccoglie in un anno particolarmente difficile per l’industria musicale e lo spettacolo dal vivo. Come membro del Comitato Artistico di Garanzia, quali consiglio sente di dare agli otto vincitori del festival?

Di sicuro non il consiglio di sfondare chissà dove e chissà come! Musicultura è la prova che esiste ancora una canzone libera, che non ha voglia di essere determinata dal gusto di una massa sconvolgente, ma preferisce chi sente le cose veramente con l’anima giusta, col cuore giusto. Auguro a tutti i vincitori di avere successo e un riscontro, ma non certamente di diventare star: quel tipo di successo effimero nasconde probabilmente qualcosa di sbagliato.