Dopo mesi di assenza dai palchi, Beatrice Antolini torna a esibirsi con il suo progetto musicale alternativo, totalmente autoprodotto, e lo fa a partire dalla sua terra d’origine, Macerata. Artista poliedrica dal sound internazionale, ha cominciato a suonare il pianoforte in età precocissima. dedicandosi poi allo studio della musica a 360°. Così, dal 2006, anno di uscita del primo disco solista, Big Saloon, il successo da parte di critica e pubblico si è confermato di album in album fino alla produzione più recente, L’AB del 2018.
Inauguri La Controra di Musicultura 2021 con un concerto in Piazza Vittorio Veneto. Cosa si prova a esibirsi su un palco nella propria città natale? È una circostanza che crea aspettative o piccoli timori diversi da quelli che si sperimentano “altrove”?
Dopo ben nove mesi di interruzione del mio lavoro, questa è una ripartenza anche per me: è il mio primo concerto del 2021 e iniziare proprio da Musicultura è un valore aggiunto. Sono una fan del Festival: essere qui è un onore e un piacere. Mando un in bocca al lupo a tutti gli organizzatori che hanno combattuto, così come l’anno scorso, per rimettere in piedi la programmazione musicale in questo periodo storico davvero complicato. Per quanto riguarda il discorso legato alla mia città, invece, qui ho vissuto la mia infanzia e la mia adolescenza, ho moltissimi ricordi e fa sempre molto piacere tornare a casa. Spero che il pubblico di Macerata apprezzi il mio concerto: da tredici anni presento i miei dischi ai live, in tutta Italia ma anche all’estero, e mi hanno sempre portato tanta fortuna. Suonare tutti gli strumenti nei miei album mi ha permesso di lavorare in studio per altri artisti, o anche come turnista, arrangiatrice e produttrice, persino come direttrice d’orchestra.
Nel 2018 è uscito il tuo album L’AB: hai composto, arrangiato, registrato e mixato tutti i pezzi e anche in quest’ultimo disco le canzoni sono in lingua inglese. Hai mai pensato di realizzare un progetto di inediti in italiano?
A livello compositivo il mio sound è un po’ anglofono, ma non è una scelta, bensì una condizione: il mio è un genere molto particolare, estremamente spontaneo. Ho iniziato a scrivere da giovanissima, sono sempre stata molto sperimentale a livello di arrangiamento, esterofila per i miei ascolti; lo ero ancor più in passato. Adesso apprezzo molto la musica italiana, ma quando ero più ragazzina ascoltavo artisti come i Massive Attack e Björk ed ero totalmente affascinata da quelle bellissime sonorità. Quel tipo di ascolto è stato il motore che mi ha portato a scrivere musica. Le mie canzoni arrivano da sole, non c’è volontà ma magia. Non so mai quando sta per arrivare un brano, di solito non ricordo neppure il momento in cui ho scritto una canzone. Mi metto a disposizione della musica, la assecondo; per questo non escludo la possibilità, in un futuro indeterminato, di scrivere anche dei testi in italiano. Magari, dopo un anno e mezzo tanto difficile, avrò voglia di comunicare qualcosa di diverso a più persone, perché non tutti parlano o capiscono l’inglese. Io sono una musicista che canta e non una cantante che suona; è per questo motivo che do molto spazio alla musica e agli arrangiamenti. Ma molte persone che fanno bella musica italiana – Vasco in primis – mi hanno trasmesso l’importanza basilare del testo nella canzone italiana.
La scorsa estate, al Comunale di Bologna, hai proposto uno spettacolo in onore del maestro Franco Battiato, venuto recentemente a mancare. Quanto c’è nella tua vita e nella tua musica di questo grande cantautore?
A sentire il nome di Franco Battiato ho i brividi dall’emozione: Battiato è dentro di me, è nelle mie cellule. Lo amo tantissimo. Penso che noi italiani spesso siamo troppo esterofili quando pensiamo a Bruce Springsteen, Leonard Cohen o David Bowie – che ovviamente sono comunque dei grandissimi autori – e dimentichiamo però Franco Battiato, l’unico ad aver superato le barriere comunicative, a essere andato oltre la parola. Non va capito ma ascoltato con tutta l’interiorità; chi ha realmente interiorizzato il genio di Battiato, come spero di aver fatto io, si renderà conto che è in grado di cambiarti la vita per sempre. Grazie a Battiato ho iniziato a studiare tante cose, dalle scienze umane all’esoterismo, dalla filosofia alle discipline orientali. È un grande maestro interdisciplinare, anzi, preferisco definirlo insegnante: trovo che maestro sia un concetto troppo distante rispetto a quello di insegnante.
Lo scorso anno sei stata direttrice d’orchestra a Sanremo per il brano “Me ne frego” cantato da Achille Lauro. La domanda sorge quasi spontanea: come mai ancora oggi ci sono così poche donne addette ai lavori nell’ambiente della musica leggera?
Ultimamente il giornalista Michele Monina ha fatto una giusta osservazione sul fatto che tutti i festival estivi sono declinati al maschile, come se non ci fosse fiducia nel proporre la serata di un festival a una donna. Purtroppo ho vissuto questo in prima persona, sulla mia pelle: in 13 anni di carriera ho sempre notato la presenza di diffidenza e giudizio: si parla quasi sempre solo dell’estetica delle artiste. La musica è lavoro duro e le sofferenze sono davvero tantissime, ma io ho votato ad essa la mia vita: ho delle ernie a forza di caricare e scaricare le tastiere, ho guidato per migliaia di chilometri e consumato delle autovetture. Eppure, dopo tutti questi anni, mi devo ancora giustificare per le grandi fatiche e i grandi sforzi. Però un consiglio che mi sento di dare a ogni donna che volesse intraprendere questo percorso è di andare avanti nonostante le offese, perché anche se forse arriverà meno di quello che dovrebbe arrivare, qualcosa arriverà.