Giornalista, conduttrice radiofonica e televisiva, dopo la laurea in scienze politiche Benedetta Rinaldi ha debuttato a Radio Meridiano 12, prima di approdare a Radio Vaticana con il programma Stop! Precedenza a chi pensa. Grazie alla sua collaborazione con Rai Radio 2, inizia la sua carriera sul piccolo schermo con i programmi A sua Immagine, Uno Mattina e La Vita in Diretta Estate. Ospite a La Controra durante la settimana della finalissima di Musicultura, la giornalista romana, volto simbolo di Elisir su Rai3, si racconta così alla redazione Sciuscià.
Benedetta Rinaldi, giornalista, conduttrice televisiva e radiofonica, volto per diversi anni del programma Uno mattina e, dallo scorso anno, di Elisir. Quando si portano in televisione temi d’attualità c’è dietro un impegno professionale continuo e totalizzante, soprattutto se si considerano i tempi “veloci” del mezzo televisivo. Ecco, quanto il lavoro del giornalista, poi, si riversa nella sfera privata e personale della sua vita?
Nel caso di Uno Mattina non c’era proprio vita privata, nonostante avessi già un figlio e la famiglia sia sempre stata una delle mie priorità. L’informazione accade, a prescindere da tutti i nostri piani: Uno Mattina era un continuo di lavoro e di studio. Spesso gli ultimi copioni arrivavano a mezzanotte e difficilmente erano quelli definitivi. Per essere più precisi possibile è necessario rimanere sempre connessi.
Nelle interviste che ha rilasciato in passato ha parlato sempre di quanto conoscere l’italiano ed essere curiosi siano le colonne portanti del mestiere. Cos’altro è fondamentale per la formazione e la preparazione al mondo giornalistico?
Innanzitutto, dipende molto da che tipo di giornalismo intendiamo: sicuramente, l’italiano è la base, ma si dovrebbe conoscere anche l’inglese. Se l’estero è una delle opzioni, bisogna conoscere le lingue. Quando invece il giornalismo è d’inchiesta, è fondamentale non aver paura del sacrificio. Basta vedere Federica Angeli, che vive blindata con suo marito e i suoi bambini: hanno accettato il prezzo di non piegare la schiena. Altri invece, comePaolo Borrometi, non hanno intenzione per il momento di farsi una famiglia e danno priorità alla carriera. Per il giornalismo di divulgazione, vale a dire per il mio settore, ciò che conta è l’onestà intellettuale, la capacità di farsi e fare le giuste domande. È un servizio: non conta l’autorefenzialità, nonostante il lavoro possa dare una discreta popolarità; serve la curiosità, anche quella più “spicciola”.
Chi si occupa di informazione ha anche la responsabilità di sensibilizzare l’opinione pubblica su determinate tematiche. Lei, ad esempio, ha raccontato la vita degli italiani emigrati all’estero cercando nuove opportunità di lavoro. Cosa, secondo lei, potrebbero e dovrebbero fare le istituzioni per sostenere i giovani che si affacciano al mondo del lavoro?
Sicuramente si dovrebbe investire nei gradi primari dell’istruzione: i più piccoli vanno avvicinati alla lettura e alla scrittura. Si dovrebbe lavorare di più per far innamorare i ragazzi della cultura. Camminando per Macerata ho visto delle librerie meravigliose per bambini: bisogna educare anche alla bellezza dell’informarsi, del farsi le giuste domande e del sapersi esprimere correttamente. Non basta accontentarsi di uno Stato che offre di che mangiare, dovremmo imparare a procurarcelo da soli. Come? Con un’educazione che sia corrispondente ai bisogni del mercato e del mondo del lavoro. In più, bisognerebbe anche rendere giustizia al lavoro degli insegnanti.
È mamma di due splendidi bambini. Quanto è difficile oggi per le donne conciliare carriera e figli? Si parla spesso di uguaglianza tra generi eppure le discrepanze sono ancora molte…
Bisogna vedere cosa si intende per uguaglianza: una donna non sarà mai uguale a un uomo, così come un uomo non sarà mai uguale a una donna. Ad esempio, nel fenomeno del multitasking, una donna con dei figli ha una capacità di concentrazione equa tra famiglia e lavoro. In genere, un uomo – perlomeno nei casi che conosco personalmente – affronta un problema alla volta. Quello che dovremmo ottenere è la parità di retribuzione. È una richiesta persino anacronistica: dovrebbe essere un assunto che se un uomo e una donna lavorano nello stesso settore e alla stessa scrivania non possono essere pagati diversamente. Mancano ancora dei sussidi anche dal punto di vista aziendale; quanto farebbero comodo scuole e asili nido in loco? Per non parlare dei colloqui di lavoro in cui domandano alle donne se hanno intenzione di fare figli per decidere se assumerle o meno – domanda, in teoria, perseguibile penalmente. Se una donna ha interesse ad avere una famiglia è naturale che accada. Con i miei due figli riesco a portare a casa la mia giornata lavorativa e il mio stipendio, credo di fare bene e spero che anche altre donne possano riuscirci, nonostante le diverse esigenze di ciascuna.
Qual è il suo rapporto con la musica? C’è un genere che preferisce o è un’ascoltatrice onnivora? Qual è il suo artista preferito?
Ho studiato pianoforte e chitarra, ma ho capito subito che quella non è la mia strada; a dirla tutta, non sono neppure dotata di una grande voce. Per questo mi piacciono tanto le cantanti con un’estensione vocale invidiabile, come Giorgia o Laura Pausini. In genere sono molto pop. Il mio rapporto con la musica è stupendo: seppure non necessariamente a parole, credo sia la forma d’arte più espressiva che io conosca. I brani che mi facevano piangere o sorridere a 15 anni mi fanno ancora emozionare.