Per la penultima giornata del festival, e per la prima delle due serate finali, Marisa Laurito approda a La Controra prima, sul palco dello Sferisterio poi, e porta con sé l’allegria cha ha sempre contraddistinto il suo lungo e poliedrico percorso artistico. La sua espressività è stata protagonista in teatro, sul piccolo e sul grande schermo; la sua creatività si è tradotta anche in pittura, scultura e fotografia. E ora anche in scrittura, col suo romanzo autobiografico “Una vita scapricciata”. Così si racconta alla redazione di Sciuscià.
Visto il contesto, partiamo dalla musica e parliamo del suo unico singolo, “Il babà è una cosa seria”, un pezzo ironico e vivace, presentato al festival di Sanremo nel 1989. Data la sua provenienza e la sua carriera, quanto c’è di autobiografico in questa canzone?
Non c’è molto di autobiografico. Certo, è stato “cucito” su di me però è un pezzo che per l’epoca è andato molto avanti nei tempi perché parlava di argomenti molto attuali, dalla crisi del pianeta alla noia delle casalinghe.
“Una vita scapricciata”, il romanzo che presenta in occasione de La Controra di Musicultura, è un po’ una dichiarazione d’amore per la sua città natale, che fa da cornice a gran parte del racconto. Sembra quasi che sia Napoli stessa la sua vita scapricciata…
Il romanzo si intitola Una vita scapricciata perché nella mia vita mi sono tolta tanti capricci. Sono riuscita a fare quasi tutto quello che volevo e naturalmente Napoli c’entra moltissimo in tutto ciò: alla mia città devo i tempi comici che si imparano per strada e l’umanità delle persone. Napoli è meravigliosa, piena di molte cose belle che cerchiamo sempre di mettere in risalto rispetto a quelle brutte.
Il sorriso è il fil rouge della sua esistenza e della sua carriera, tanto da essere finito anche sulla copertina del suo libro. L’ironia, del resto, è un suo marchio di fabbrica. Quali sono gli altri ingredienti che rendono una vita scapricciata?
Credo che fondamentale, prima di tutto, sia il talento, unito a una grande determinazione, alla voglia di imparare e all’umiltà. Ecco, credo che questi siano gli “ingredienti” necessari per poter essere condotti a destinazione, a quello che uno vuole ottenere nella vita.
Tanti, tantissimi gli incontri avvenuti lungo il suo percorso artistico: quali sono i personaggi che più hanno segnato il cammino e a chi è rimasta particolarmente legata?
Sicuramente a Eduardo; aver cominciato con lui mi ha dato una grandissima impronta. Era molto severo e lavorare con lui è stato come aver fatto il servizio militare. Altri incontri meravigliosi sono stati quelli con Renzo Arbore e Luciano De Crescenzo, che sono poi diventati anche la mia famiglia, e successivamente quelli con Gigi Proietti e Adriano Celentano. Ho avuto la grande fortuna di incontrare persone straordinarie con cui poi ho stretto anche amicizia.
Il suo estro creativo non si ferma al cinema, al teatro o in tv, ma corre anche sui binari di pittura, fotografia e scultura. Cos’è che muove tanta poliedricità?
Credo che l’arte non abbia bisogno di incasellamenti: se si hanno dei talenti bisogna metterli in atto. Per un artista quella di provare e sperimentare è un’esigenza. Ad esempio, per me la pittura non è mai stata un capriccio ma una dedizione nata quando avevo sedici anni; fortunatamente c’era qualcuno che comprava i miei quadri e grazie a questo sono riuscita a pagarmi i corsi di recitazione. Col tempo ho continuato a dipingere; adoro i colori e andare alle mostre; mi piace sperimentare. A un certo punto, una critica d’arte che ha notato le mie opere mi ha convinto a fare una mostra e da lì si è aperto un altro “file”, come direbbero i giovani.