Era stata con noi solo pochi mesi fa, durante la settimana finale della scorsa edizione del Festival. Ora, tornata a Macerata in occasione delle Audizioni Live, Irene Grandi si abbandona a una performance che ammalia il pubblico del Teatro Lauro Rossi.
I suoi tratti distintivi? Voce incredibile, grinta impareggiabile e una grande capacità empatica. La stessa con cui ha risposto alle domande di questa intervista.
Il 19 giugno, sera in cui ti sei esibita alla finalissima di Musicultura 2021, ha coinciso con la prima data del tuo tour Io in blues, che ti ha portata a calcare, dopo l’Arena Sferisterio di Macerata, i palchi di tutta Italia. Com’è andata questa tournée e com’è stato tornare a suonare dal vivo in presenza del pubblico?
Ero felicissima. Il periodo della pandemia ha coinciso con tante proteste degli addetti ai lavori del mondo della musica e si sperava che avessero un ascolto, ma così non è stato. Si voleva tantissimo tornare sul palco per noi, per chi aveva bisogno di lavorare e per la gente che non vedeva l’ora di andare a un concerto. In quel periodo difficile ho sentito il bisogno di capire chi fossi e la necessità di ritornare alle mie radici, dal rock blues al blues soul. Mi sono reimmersa nelle canzoni che avevo amato da ragazza, che mi avevano formato vocalmente e che mi avevano fatta innamorare della musica e del palcoscenico. È stato molto gratificante, mi sono sentita più sicura di me su quel repertorio.
Nel corso della tua straordinaria carriera hai attraversato diversi generi musicali, tra cui rap, pop, soul, blues, rock e jazz, senza mai rinunciare alla melodia italiana. Cosa ti ha spinto a esplorare tutti questi mondi?
Ho sempre amato suonare con musicisti diversi: non mi è mai piaciuto ripetermi. Da ragazza avevo degli amici che suonavano generi e stili musicali differenti l’uno dall’altro e mi piaceva esplorare, capire, ricercare cose nuove. Eravamo una di quelle cover band che passava da Lenny Kravitz a Lucio Battisti, da una canzone di Pino Daniele a una dei The Cure. Nel tempo poi ho trovato una mia precisa identità.
Sei molto attiva sui social, ti piace comunicare e mantenere uno stretto rapporto con il pubblico, condividi parti della tua vita e soprattutto i tuoi progetti artistici e musicali. E proprio dai social abbiamo appreso che sei coinvolta in un progetto teatrale internazionale. L’hai definito una vera e propria “Opera Rock”. Siamo curiosi: come si declina la tua parte rock a teatro?
Il progetto a cui ho deciso di aderire è ambizioso e molto interessante. Lo spettacolo si chiama “The Witches Seed”, il seme delle streghe. È una vera e propria opera – c’è una produzione da opera, quindi scenografie, comparse, ballerini, coristi, cantanti lirici – nell’ambito della quale io sono l’outsider strega che canta delle canzoni rock. La musica dello spettacolo è stata scritta da Stewart Copeland e da Chrissie Hynde, cantante dei The Pretenders. Sono molto felice perché intorno a me ci sono persone davvero molto competenti e appassionate di questo progetto che andrà in scena questa estate. Sarà appunto una commistione tra rock e lirica, il culmine delle mie esplorazioni e contaminazioni.
Non tutti sanno che sei anche un’insegnante di yoga certificata e stai tenendo proprio in questo periodo un corso che si chiama “Conosci la tua voce? Un viaggio tra esperienza artistica, tecnica del canto e yoga”. Ecco, quanto sono importanti per un cantante la conoscenza tecnica della propria voce e il benessere psicofisico per affrontare il palco?
Ho iniziato questa esplorazione da grande. Sono sempre stata una persona molto irruenta, parecchio impulsiva, ho ragionato sempre d’istinto e, anche se a me andava bene vivere così, ho passato dei momenti difficili; mi è capitato persino di perdere la voce nei periodi intensi e di grande stress. Ho quindi rivalutato negli anni il benessere derivante dalla pratica dello yoga. Faccio questa Master Class insieme a Lisa Kant, esperta e insegnante di canto e di tecnica vocale. Lo yoga è una bellissima scienza perché lavora molto sul respiro e crea un benessere che non è solo fisico, ma anche psicologico. Essendo un lavoro come il mio pieno di up and down, è importante avere una centratura, un modo per ritornare tranquilli e sentirsi sereni e sicuri, non patire sempre il giudizio delle persone, l’esposizione al pubblico. Questo periodo di pandemia è stato complice anche del mio diploma. Mi sono sentita pronta poi per condividere questa esperienza con i giovani, sperando che magari possa essere utile nella loro storia musicale e possa dare loro una mano per viverla il meglio possibile.
I giovani, appunto. Il direttore artistico Ezio Nannipieri definisce Musicultura come “un luogo dove si esercita e si vive l’arte dell’incontro” ed è proprio dall’incontro di grandi artisti e artiste che “i giovani in concorso possono trarre ispirazione per dare basi salde alle loro carriere nascenti”. Ti piacerebbe essere di ispirazione per le nuove generazioni? E c’è stato qualche artista in particolare da cui tu stessa hai tratto ispirazione?
Questi concorsi sono davvero unici perché creano incontri, amicizie. È bellissimo vivere queste esperienze perché le conoscenze che si fanno rimangono come radicate, dolci da ricordare. Nel corso degli anni poi tornano molto utili, ti permettono di aprire nuove strade, nuove ispirazioni, creare collaborazioni. Questi contesti sono importanti per questo, perché consentono anche di ascoltare e prendere ispirazione dagli altri.
Per quanto riguarda il mio percorso musicale, invece, il mio più grande punto di riferimento è stato Sade. Ho preso tanto dal suo suono, amavo quella sua voce vellutata e credo di avere sviluppato anche il mio timbro cercando di imitarla. Poi, alla fine, il modello lo perdi e trovi invece la tua strada.