Dai primi riconoscimenti all’ultimo album Abbi cura di Me, il percorso artistico di Simone Cristicchi si è sempre intrecciato a quello umano, attraverso un’incredibile varietà di forme e modi: musica, teatro, narrativa e disegno sono le linee principali della ricerca interiore del cantautore romano. Sempre attento a creare una connessione profonda con il pubblico, la performance di Cristicchi sul palco del Persiani di Recanati si è conclusa con un lungo e commosso applauso del teatro. Segno forse di uno di quei rari casi in cui artista e pubblico riescono davvero a capirsi e sentirsi.
Dopo l’esibizione ci ha raccontato parte della sua storia attraverso quest’intervista.
Nel 2005, salendo sul palco dello Sferisterio come vincitore assoluto di Musicultura, hai detto di seguire la “filosofia della lumaca”. Nel 2021 è uscito il tuo nuovo libro Happynext. Alla ricerca della felicità, in cui una delle parole chiave è proprio “lentezza”. Cosa significa prendere il tempo e lo spazio necessari per il Simone Cristicchi “cant’attore”?
La lentezza è un’arma, qualcosa che ti permette di andare a un ritmo più umano e naturale nella vita e dopo nell’arte. Riesci a vedere cose che, andando velocemente, si perdono, a cogliere i dettagli. Per un artista è fondamentale: spesso racconta quello che gli altri non vedono. Per riuscire a creare un’opera ci vuole il tempo giusto: a volte uno scrive una canzone in quaranta minuti ed è un capolavoro, altre volte magari ti sforzi anche per un mese ma non viene fuori una cosa degna di quel nome. Quindi non è una regola, però devo dire che la riscoperta della lentezza poi aiuta soprattutto ad ascoltare la nostra voce interiore e a fare i conti con se stessi.
Sei membro del Comitato Artistico di Garanzia di Musicultura dal 2009. Ecco, in ben quattordici edizioni quale credi sia la costante più significativa del Festival? Quale, invece, il cambiamento più importante che hai notato?
La costante è nella qualità delle proposte. Mi rendo conto che dovendo decidere le tre mie preferite faccio una gran fatica e questo vuol dire che il livello artistico dei ragazzi è cresciuto di anno in anno, che in giro c’è tanta qualità e passione. Mi auguro che questa passione poi venga premiata: per uno che vince ce ne sono anche tanti che tornano a casa, magari delusi. È successo così anche a me tante volte. Io dico sempre questo: è quando riesci a contattare la tua vera unicità, la tua vera anima e non somigli a nessun altro che allora sei invincibile e inattaccabile. Il cambiamento è l’assenza di Piero Cesanelli perché era, con Ezio Nannipieri, l’anima del Festival. La sua mancanza si sente tanto, la mancanza di un amico, di una persona che ha fatto di Musicultura qualcosa di unico al mondo, non solo in Italia.
In un’intervista precedente hai dichiarato che il teatro ti permette di continuare il tuo percorso artistico anche con i suoi “deragliamenti”. Attualmente sei impegnato in due spettacoli, Esodo e Paradiso. Dalle tenebre alla luce. Quali sono i loro “deragliamenti”?
Il deragliamento è fondamentale per me, mi mette in discussione ogni volta. Non percorro strade facili, mi piace comunque misurarmi sempre con qualcosa di nuovo. Sono passato attraverso il teatro civile e della memoria per intraprendere proprio un percorso che andasse a indagare la geografia della nostra anima, il mondo dell’invisibile. Il deragliamento più importante che ognuno di noi deve fare nella propria vita è guardare dentro di se prima di tutto. Ed è un universo, un microcosmo che racchiude un macrocosmo. È una ricerca pressoché infinita ma necessaria per chi aspira a un’evoluzione.
Il tuo ultimo album Abbi cura di Me raccoglie alcuni dei brani più significativi della tua carriera, tra cui L’ultimo valzer da Grand Hotel Cristicchi (2010). Una canzone che potrebbe riassumere i caratteri migliori della tua musica: concreto e sublime, commedia e tragedia, ironia e poesia, fragilità e bellezza delle piccole cose. Puoi raccontarci come è nata questa canzone?
È nata quando facevo parte di un gruppo parrocchiale, avevo 13 o 14 anni. Mi portarono un pomeriggio a visitare un ospizio e io, entrando, vidi due signori molto anziani che ballavano una musica dolce, ma lo facevano in ciabatte e vestaglia. E questa immagine, fotograficamente forte e d’impatto, me la segnai su un taccuino e scrissi «un valzer in pantofole e vestaglia» – proprio questa frase – che poi buttai lì. Molti anni dopo nel 2009, dovendo scrivere il mio nuovo disco ed essendo privo di idee, andai a scartabellare in mezzo a tutti quei vecchi quaderni. Trovai la frase e mi vennero in mente di nuovo tutta i profumi, le immagini, la tenerezza di questo amore tra i due. E scrissi L’ultimo valzer proprio così, da una piccola intuizione che avevo avuto vent’anni prima.
Sei un lettore appassionato fin da bambino. Quali libri ci consiglieresti per il 2022?
Innanzitutto vi consiglierei il mio ultimo libro Happynext. Alla ricerca della felicità, non perché l’ho scritto io ma perché è un tema che riguarda ognuno di noi. Ho raccolto un po’ tutte le esperienze, le interviste, le mie storie personali e le ho suddivise in sette parole che mi aiutano a costruire l’impalcatura di questa “felicità” che tanto ci sfugge di mano ogni giorno: attenzione, umiltà, lentezza, cambiamento, talento, memoria e noi. L’ultima parola l’ho scelta perché essere felici e sentirsi non connesso a tutti gli altri non è vera felicità. Il secondo libro è un classico della spiritualità: Il potere di adesso di Eckhart Tolle. È una sorta di meditazione sull’essere presenti, sul vivere nel momento, nel qui ed ora.