Dalla recitazione alla musica, dalle lunghe tavolate di donne dei suoi ricordi d’infanzia alla copertina di Camouflage, dal palco dell’Ariston a quello dello Sferisterio. Margherita Carducci, in arte Ditonellapiaga, presta la sua voce in maniera fluida e versatile a diversi generi musicali e forme d’arte: pop, soul, r&b, jazz, monologhi teatrali e/o canzoni. Lo esprime bene il suo ultimo album, un ritratto della poliedricità di quest’artista che, come il camaleonte, ama sperimentare, assumere diverse sembianze e adattarsi, colorarsi di tante sfumature musicali quante sono le sue sfaccettature pur mantenendo sempre intatta e riconoscibile la sua identità. Questo il fil rouge che tiene insieme il suo passato da attrice, il suo presente da cantante e un futuro in cui, chissà, questi due lati di lei potrebbero sovrapporsi.
Prima di un’esibizione magnetica, o forse chimica, sotto i riflettori dello Sferisterio, svela in quest’intervista a tu per tu con la redazione di “Sciuscià” gli ingredienti della sua personale soluzione: una miscela composita di autenticità, ricettività e ironia.
Per i bambini esplorare la ferita è un’esperienza sensoriale di conoscenza, sebbene possa comportare anche l’imprevedibile incontro con il dolore. È questo il significato del tuo nome d’arte?
È un’interpretazione bellissima, complimenti. Il senso del mio nome d’arte è la provocazione, l’insistere e punzecchiare, ma sempre in maniera simpatica e bonaria. Però questa interpretazione è molto bella, perché si rifà a un altro aspetto della mia musica meno simpatico e sbruffone e più riflessivo e intimo.
Camouflage (2022) è il titolo del tuo album d’esordio, che oltre a simboleggiare l’eclettismo del camaleonte, è una tecnica di trucco volta a nascondere gli inestetismi. Che rapporto hai con il trucco e con la tua immagine?
La tecnica del camouflage consiste nel nascondersi; nell’accezione del disco, però, non si tratta di nascondersi ma di adattarsi. A me piace molto sperimentare con il trucco. Per tanto tempo, soprattutto al liceo, non ho accettato il mio viso struccato: ero abituata a indossare tanto trucco perché mi divertiva, però a un certo punto questa cosa mi è sfuggita di mano e non riuscivo più a vedermi struccata. Adesso il rapporto con la mia immagine è cambiato: sono molto a mio agio con la me senza trucco, però al tempo stesso trovo che anche questa sia una forma d’arte e mi diverto molto a sperimentare e giocarci.
Il duo con Donatella Rettore sul palco dell’Ariston e la copertina dell’album appena citato, che ti vede circondata da donne meno giovani di te, mostrano una forte impronta femminile intergenerazionale. Che messaggio volevi lanciare con questa scelta?
Non era voluto, ma effettivamente forse è stata una scelta inconscia e spontanea. Io ho dei grandi riferimenti femminili nella mia famiglia, soprattutto da parte di madre sono quasi tutte donne. Mia madre, mia nonna, le amiche di mia nonna: sono tutte donne che vedo fin da quando ero bambina e a cui si legano i miei più bei ricordi d’infanzia. Ho quest’immagine nella mente di loro che stavano a casa e giocavano a carte tutte insieme. Sono da sempre abituata a vedere scene di donne numerose, solidali e unite tra loro. Inevitabilmente anche il mio disco ha una componente femminile così segnata e quindi forse l’ho voluta inconsciamente evocare anche nella copertina.
Sei laureata in teatro al DAMS. Quanto ha inciso la recitazione sulla tua musica? Hai mai pensato, in futuro, di fondere queste due passioni in un’unica forma d’arte?
Il teatro ha inciso molto sulla mia musica, perché prima di finire l’accademia scrivevo male; poi la mia scrittura è maturata con e grazie alla recitazione, risentendo della sua influenza. Molti miei pezzi sono un po’ teatrali, a volte quasi dei monologhi. La recitazione ha inciso molto soprattutto sull’interpretazione e sull’immaginazione, perché fare teatro apre tantissimo l’immaginazione. In futuro mi piacerebbe lavorare di più sui videoclip a livello recitativo, anche se è un esercizio difficile che richiede molto impegno e i videoclip, invece, vanno realizzati in poco tempo. Però, sarebbe bello intraprendere un progetto di questo tipo in futuro.
Osservando il tuo rapporto con i social, mi sembra che per te siano importanti il contatto e l’interscambio di energie tra artista e pubblico. Cosa ti piacerebbe ricevere dal pubblico dello Sferisterio e cosa, invece, vorresti lasciargli?
Mi piacerebbe ricevere “du’ applausetti”! Di base secondo me si tratta sempre di uno scambio di energie: io devo dare energia al pubblico e se il pubblico la percepisce – anche se dipende da che tipo di pubblico sia: ci sono dei pubblici ricettivi e dei pubblici un po’ più rigidi – la assorbe e poi te la restituisce. Di solito più sei energico tu e più la gente percepisce questa cosa e te la ridà indietro. Quindi spero che anche qui allo Sferisterio ci sia uno scambio di good vibes, di energie positive!
Mi sembra che nella vita, oltre che nella musica, stemperi anche le emozioni più profonde con leggerezza e divertimento. Che valore ha per te l’ironia?
L’ironia per me è un po’ uno stile di vita. Per tanto tempo ho avuto un po’ paura delle mie emozioni, quindi, reagivo sminuendole, ridendoci su o non parlandone. Però credo che anche le tragedie, a loro modo, siano comiche. Secondo me, osservandole con distacco e non nel momento in cui si sta soffrendo, ci si rende conto che si può ridere anche delle cose tristi, che non significa sminuirle ma guardarle da un’altra prospettiva. Naturalmente esistono anche delle cose molto serie sulle quali è meglio non scherzare e che bisogna invece affrontare con altrettanta serietà. In generale, l’ironia è un modo un po’ più leggero di vivere la vita, di scherzarci su e reagire positivamente al negativo. Io me la vivo meglio così!