Da Kiev, Ucraina, i DakhaBrakha portano il loro “caos etnico” sul palco di Musicultura. Il progetto nasce nel Kyiv Center of Contemporary Art «DAKH», nel 2004, dalla geniale idea del direttore teatrale Vladyslav Troitskyi. Il gruppo è composto da Marko Halanevych, Iryna Kovalenko, Olena Tsybulska e Nina Garenetska. Con la loro musica, tradizione e contemporaneità si incontrano; l’aggiunta di ritmi e strumenti da tutto il mondo crea immagini suggestive ed evocative: ascoltarli è come viaggiare nel tempo e nello spazio.
Nel 2016, pubblicano The Road e si esibiscono in Italia, al Triennale Milano Teatro, nell’ambito della rassegna musicale Music after Music. Nel 2020, tornano con il loro ultimo progetto Alambari, album – dal look eclettico e intrigante – registrato nel 2019, che garantisce al gruppo il premio per la categoria “Musical Arts” nell’ambito dello Shevchenko National Prize del 2020.
Conosciamo meglio questo straordinario ensemble con la nostra intervista a Marko Halanevych.
Come creatori del “caos etnico”, avete unito alla musica folk ucraina i ritmi, le sonorità e gli strumenti tradizionali di diverse nazioni del mondo. Avete intenzione di sperimentare ancora in questo senso?
Siamo sempre pronti a sperimentare, ma per noi nulla è pianificato, non abbiamo strategie. Ci affidiamo al destino: se sentiamo di fare qualcosa, semplicemente lo facciamo.
Il vostro progetto è stato creato originariamente in e per il teatro, ma in seguito avete iniziato a esibirvi anche al di fuori. Quali sono le differenze riscontrate tra i diversi contesti?
Ci sono sicuramente energie diverse. Quando ci esibiamo a teatro è sempre una magnifica esperienza, è di grande impatto e ha forte influenza sulla nostra musica. Al di fuori di esso, percepiamo il contatto diretto con il pubblico, non ci sono muri, l’interazione è immediata. In fin dei conti, però, DakhaBrakha è DakhaBrakha proprio grazie al teatro.
La musica è unione, pace, armonia. Visti i recenti avvenimenti che riguardano il vostro paese e che hanno destato l’attenzione mondiale, quanto è importante per voi far circolare un messaggio di pace attraverso questa forma d’arte?
Certamente la pace in questo momento è il nostro sogno più grande, ma per noi non è il solo obiettivo da raggiungere; vogliamo vincere questa guerra affinché ci siano pene adeguate nei confronti di chi ha invaso un paese calpestando senza pietà i diritti umani di un’intera popolazione. Quindi non è solo una questione di pace, vogliamo giustizia. La luce vince sempre sulle tenebre.
Non è la vostra prima volta in Italia; come vi sentite a tornare nel nostro paese, sul palco di Musicultura, nella cornice dello Sferisterio di Macerata?
Conosciamo il pubblico italiano, amiamo profondamente questo paese e la sua cultura. Tuttavia, non sapevamo cosa aspettarci da questa esperienza, trovarci in un contesto così ampio come quello di Musicultura è stato, per noi, singolare e magnifico.
Il vostro nome, DakhaBrakha, significa “dai/prendi” in ucraino antico; sulla base della vostra lunga esperienza, la musica cosa vi ha fatto dare e ricevere?
La musica ci ha permesso di dare e ricevere energia alle e dalle persone; è uno scambio difficile da spiegare a parole. È questa energia che ci dà la forza di continuare a suonare. Non sappiamo quello che le persone riescono a percepire e ricevere perché noi ci troviamo dall’altra parte del palco, ma spesso ci è stato detto che la nostra musica è un ponte che collega il presente alla tradizione e al passato, evoca un tipo di emozioni mai sentite prima. Questo è di grande ispirazione e ci fa capire che stiamo facendo le cose nel modo giusto.