Cantautore, musicista, personaggio televisivo, compositore e scrittore oltre che fondatore e frontman dei Bluvertigo: questa è l’identità nota al grande pubblico di Marco Castoldi, in arte Morgan. È avvolto da quest’aura poliedrica ed eclettica che varca la soglia dell’Auditorium della Biblioteca comunale Mozzi Borgetti di Macerata, nell’incontro pomeridiano che precede la quarta serata di Audizioni Live del Festival.
La riflessione proposta al pubblico presente prende il via da un interrogativo: che cos’è la musica? Ed ecco qui costruita una lezione di armonia, forma e sostanza musicale ricca e variegata. “La musica è un universo metafisico dove spazio e tempo sono uguali”, racconta riempiendo il luogo che lo ospita di parole e suoni, richiami alla Divina Commedia, titoli di David Bowie. L’ora successiva scorre velocemente, accompagnata anche dall’ascolto attento dei suoni emessi dai più disparati oggetti in sala, dalle casse, ai microfoni, a una lattina appena aperta. Poi un cambio di scena: poche ore dopo Morgan calca il palco del Teatro Lauro Rossi; seduto al pianoforte, si esibisce in Io che amo solo te di Sergio Endrigo e Un ottico di Fabrizio De André. Regala al pubblico la sua Altrove e la più recente Battiato (mi spezza il cuore). L’atmosfera si riempie nuovamente di quei colori e di quei suoni dei quali poco prima aveva spiegato la teoria, fino ai saluti finali, seguiti da
questa chiacchierata con la Redazione di “Sciuscià”.
In articoli e interviste che la riguardano viene spesso – se non sempre – definito come “artista fuori dagli schemi”. Ha significato per lei delineare qualcuno o qualcosa in questo modo? E se sì, allora, cosa vuol dire al contrario risiedere in degli schemi precisi nell’arte?
Dipende dall’intenzione con cui l’espressione viene utilizzata, se con fare simpatico o denigratorio. Non tutti gli schemi sono limitanti, ne esistono di edificanti tanto da diventare metodo di costruzione. Anche la musica, la canzone in particolare, è un fatto schematico che ne presuppone la conoscenza: io stesso mi servo di schemi in quello che faccio. L’accezione negativa dell’essere schematici, d’altro canto, è la non flessibilità, l’incapacità di cambiare e mettersi in discussione rimanendo arroccati al proprio modo di agire e pensare. A me invece piace sperimentare e mi identifico più in questo. Quel che non mi interessa è andare contro la legge o essere irriverente. Sono una persona che ha molto rispetto degli altri e delle regole dei luoghi in cui arrivo. Le regole stesse in questo senso sono necessarie e gli schemi importanti.
Parliamo di scrittura. I testi delle sue canzoni sono spesso intimisti, sempre riconoscibili. C’è uno studio particolare dietro l’utilizzo delle parole che sceglie o si tratta di un processo spontaneo che avviene nel momento in cui una storia, un messaggio, un’idea dalla mente vengono trasferiti su carta?
Quando ho iniziato ero molto piccolo e scrivevo le mie canzoni solo in inglese. Dietro quel tipo di espressione non c’era la volontà di comunicare un sentimento: era un meccanismo legato unicamente alla musica e a ciò che credevo suonasse bene. È solo crescendo che ho sentito l’esigenza di dare un significato a quei testi e così ho iniziato a cantarli in italiano. In particolare, è stata la lettura di un libro ad aiutarmi molto, Il mestiere di vivere di Cesare Pavese. Mi ha letteralmente illuminato: sfogliare quelle pagine mi ha dato la libertà di scrivere in maniera più spontanea, talvolta svincolandomi dalla metrica. Pavese, dunque, mi ha dato la forza e il coraggio di esprimermi per come davvero avrei voluto e di inserire dentro al mio fare, finalmente, i miei sentimenti e la mia interiorità. All’inizio le mie canzoni erano molto razionali e scolastiche, avevo un approccio intellettualistico e amavo i paroloni. Adesso il mio linguaggio è semplice e diretto, il mio intento è quello di sfiorare le corde delle emozioni. I mezzi per fare questo, però, si acquisiscono solo con l’esperienza e il tempo. La mia scrittura è cambiata e cambierà ancora.
Non è la sua prima volta come ospite a Musicultura. Perché crede sia importante dar fiducia a spazi di crescita simili?
(Avevamo pronta anche questa domanda. Ma Morgan ci ha spiazzati anticipandone la risposta. E l’ha fatto ancor prima di essere intervistato, quando era ancora sul palco, a chiusura della sua esibizione, ndr)
Musicultura è una cosa vera, semplice, utile, anzi fondamentale, perché crede nell’umanità e nella creatività delle persone. Viviamo in una dimensione che vede come finalità dell’esistenza la ricchezza, il denaro. Al contrario, Musicultura, è uno degli esempi di come il vero scopo del mondo siano la bellezza e l’arte. È tramite realtà come questa che possiamo riuscire a godere della porzione di tempo che ci è stata data per questa vita; la musica è il modo più bello di tutti in assoluto per farlo. Ringrazio questo festival per averlo compreso.