“Cantattrice”, artista giovane ma con una carriera già costellata di collaborazioni ed esperienze uniche: Margherita Vicario torna a Musicultura nel 2023 in qualità di ospite, dopo esserne stata finalista nel 2013. “Per rivivere le emozioni di dieci anni fa – dice sul palco – vi rifaccio un pezzettino della canzone che portai alla XXIV edizione. Anzi, la eseguo tutta! Non è cambiato niente, la suono identica”. Così coinvolge il pubblico regalando una performance essenziale e potente con solo pianoforte e voce, che vede gli spettatori alternarsi nei cori dell’ultimo pezzo in scaletta: ABAUÈ (Morte di un Trap Boy).
Prima della sua esibizione, l’autrice di Nota bene e Piña Colada si racconta alla redazione di Sciuscià con piglio ironico e leggero.
Finalista ieri, ospite oggi. Come ti ha cambiata, artisticamente parlando, il rapporto con Musicultura?
Quando sono venuta a Musicultura ero proprio agli esordi. Era la prima canzone che avessi mai pubblicato e l’ho subito portata in concorso, forse proprio perché questo Festival mi sembrava un posto in cui poter ascoltare dei bei giudizi. In più non sono mai stata amante dei talent (anzi, mi fanno proprio paura) e Musicultura è praticamente l’opposto di un talent. I concorsi mi piacciono, è bello misurarsi con altri artisti, ma il concetto di “grande esposizione”, per chi sta cominciando il suo percorso, mi sembra un po’ controproducente. Proprio perché ero all’inizio e non ero ancora formata artisticamente, il Festival mi ha dato di sicuro una buona consapevolezza sul fatto che è più importante la personalità del risultato a cui si deve arrivare.
Il testo di Nota bene è fatto di appunti minuti, di immagini sfuggenti. A distanza di alcuni anni in Troppi Preti Troppe Suore scrivi: “Allora piano piano pratico/cerco il millimetro”. Da dove nasce questa ricerca del dettaglio?
In realtà Nota Bene è nata come una specie di testamento. All’inizio si chiamava Promemorie. Il problema sta nel fatto che il giorno prima che la pubblicassi uscì il singolo di Meg dal titolo Promemoria. Ho pensato subito: “Me l’ha fregata” (ride, ndr). Quindi l’ho chiamata Nota Bene, per rimanere in tema. La ricerca del dettaglio forse viene dal fatto che sono molto disordinata e, pur immaginando tante cose,
fatico a sistemarle. “Cerco il millimetro” è un riferimento allo yoga, al bisogno di creare ordine nel proprio corpo, all’allungamento dei muscoli un millimetro alla volta.
Nei tuoi album è possibile percepire le influenze dell’indie, del folk, del rap e persino del musical, di cui sei una grande appassionata. Quale è allora l’elemento di contaminazione del tuo pop di cui non potresti mai fare a meno?
Al di là dei generi musicali, non potrei mai rinunciare al divertimento che provo quando racconto una storia, che tra l’altro è anche l’opposto di ciò che accade in Nota bene.
All’inizio le mie canzoni nascevano semplicemente dalla parte più spontanea e intima di me. Con il tempo a questo si è affiancato il bisogno di raccontare una vicenda e immaginarmela. Di conseguenza ogni storia richiede un mondo sonoro diverso, un “vestito” che mi diverto a cambiare a seconda delle esigenze.
L’anno scorso hai doppiato Mrs. Tarantola nel film d’animazione Troppo Cattivi. Come ti sei preparata per questa tua prima esperienza?
Ho fatto una specie di selezione: mi hanno proposto il ruolo e poi ci sono state delle prove per vedere se funzionava. A dire il vero non mi sono preparata, non ho doppiatori di riferimento e non sono proprio un’appassionata di quest’arte. Anzi, cerco il più possibile di guardare i film in lingua originale.Mi sono solo affidata al direttore del doppiaggio, che è molto bravo. Poi si tratta di un’esperienza che ho sempre voluto fare, quindi alla fine mi sono trovata bene.
Ci racconti un’esperienza all’estero e una in Italia che ti hanno colpita e arricchita come cantautrice?
Sicuramente la più importante è stata ancora prima di Musicultura. Era il 2010, ero appena uscita dall’Accademia e sono partita per un mese in Inghilterra, dove viveva mio fratello. Mi sono portata la chitarra e gli ultimi dieci giorni li ho passati al Fringe Festival di Edimburgo, facendo sempre busking.
All’epoca scrivevo in inglese, solo che non mi ricordavo i testi a memoria. Così mi ero posizionata vicina a un palo per attaccarci i fogli con le canzoni. Un giorno davanti a me c’era un ragazzo che suonava gli Oasis, ci siamo guardati e gli ho detto: “Ma senti, facciamoli insieme!”. Insomma, due chitarre si sentivano meglio, quindi alla fine ho anche fatto busking in coppia. L’esperienza che mi ha segnata maggiormente in Italia, invece, è capitata ancora prima di cominciare a cantare in pubblico. Per circa un anno ho suonato per una bambina – era un’amica di famiglia – al risveglio dal coma. Andavo una volta a settimana e faceva un po’ parte del suo percorso di ripresa. È stato terapeutico per lei, ma molto anche per me.