Tra i 16 finalisti di Musicultura 2023 c’è un’artista che si auto-definisce “tribale-matriarcale”: è la vicentina Giorgia Pietribiasi, in arte Lamante. Studia chitarra fin da piccolissima, poi si perfeziona al CPM di Milano e all’Officina Pasolini. Alle Audizioni live i brani L’ultimo piano e Come volevi essere le sono valsi la Targa Banca Macerata. A dir la verità, il nostro tentativo di riassumere la sua musica in un’intervista è fallito miseramente. Con un’analisi sociale un po’ spietata e un po’ romantica, Lamante ha risposto alle nostre domande come togliendo i punti alla fine della frase, aprendo la strada a mille altre domande, alle innumerevoli sfumature della sua arte. Soprattutto ci ha ricordato che la musica è comunità.
Giorgia all’anagrafe, Lamante sul palco. Da dove viene il tuo nome d’arte?
L’amante è una figura iconoclasta per eccellenza, appartiene allo spettro dell’amore, all’impulso che ci conduce all’altro senza alcuna regola. Con l’amore ci rapportiamo inevitabilmente al diverso. Fran Lebowitz ha detto: «Alle volte quando una mia amica finisce di leggere un libro, esclama che le è piaciuto perché si è sentita rispecchiata, ma io quando leggo non ho voglia di specchiarmi. Voglio entrare in mondi in cui di solito non entrerei. Non voglio riconoscermi nelle parole che sto leggendo, voglio conoscere altro». Lamante per me è anche questo: nella società degli specchi io scelgo di non specchiarmi, scelgo di guardare altrove e contaminare la mia rappresentazione del mondo. Ho imparato ad accettare e a immergermi nell’alterità che, guarda caso, è ciò che l’artista prova a fare con le sue opere e l’amante col suo amato. Nel forum Hand Red, Nick Cave descrive bene il legame tra la sua anima creativa e quella erotica: per lui, e anche per me, occupano la stessa parte del cervello.
Alle Audizioni Live hai ricordato tuo nonno che, come hai dichiarato in una precedente intervista, ti ha fatto vedere l’irrazionalità della vita. Allora è irrazionale anche la musica?
Quell’intervista è stata fatta molti anni fa e non avevo la padronanza di linguaggio che ho ora. Credo che il mio intento fosse quello di far capire al lettore che ormai la scelta di vivere come mio nonno, cioè come un contadino, non è comprensibile. Chi vivrebbe oggi in una provincia fatta solo di campi, senza mezzi, senza supermercati aperti h24, senza cellulari, condizionatori o televisioni? La colpa peggiore sono i nostri armadi, diceva un mio maestro. Mio nonno ora sarebbe stato l’uomo più sostenibile al mondo. Vivendo con lui ho capito che la vita irrazionale degli altri è una vita bellissima. La sottrazione è la soluzione. C’è un articolo del 1974 di Goffredo Parise dal titolo Il rimedio è la povertà: più che il suo contenuto, con cui sono estremamente d’accordo, mi ha colpito l’impatto sociale che ebbe a quel tempo. Parise criticò il sistema consumistico e il benessere, e questo venne interpretato da letterati e politici come una presa di coscienza scandalosa e irrazionale. Come può una persona non volere queste comodità? Paragonando il ruolo del contadino a quello dell’artista, penso che irrazionale non sia tanto la musica ma proprio la posizione che la società dà a chi la fa. Di questi tempi la carriera dell’artista, se non è accostata al successo e al mero far soldi, diventa una scelta incomprensibile e irrazionale.
Come siamo finiti così?/Nelle nostre case sempre più piccoli/Pensando di salvare solo noi. Sono i versi finali, semplici e potentissimi, de L’ultimo piano, brano con cui ti sei esibita sul palco di Recanati. Puoi raccontarci la loro storia?
L’ultimo piano nasce tra la fine della pandemia e l’inizio della guerra in Ucraina. È stato come vivere in un mondo stravolto, impensabile fino a pochi anni fa. Ciò che mi ha portato a scrivere questi versi è stato innanzitutto il comportamento dei media televisivi e giornalistici e dei social network, unici narratori della storia ormai da un po’. Media e società si influenzano reciprocamente: si parla della guerra in Ucraina soltanto perché è molto vicina e ci tocca personalmente, e ci tocca personalmente perché se ne parla a raffica nei telegiornali. Tutto questo ci aliena. Abbiamo creato una comunicazione senza comunità. E così io faccio una delle poche cose che sono in grado di fare: immagino. Torno indietro negli anni e penso a un futuro migliore. Fare musica per l’artista è un’azione doverosa, perché riporta le persone a una comunità senza comunicazione, dove ci si ascolta, dove il dolore non è più del singolo ma comunitario, condiviso; dove non c’è bisogno di parlare per tenersi uniti ma è necessario muovere la testa al ritmo di una pulsazione, di un mantra, come una preghiera ripetuta tante volte.
Esperienze importanti e formative come quella di Area Sanremo o del Premio Bianca d’Aponte lasciano un segno: aggiungi qualcosa al tuo percorso mentre qualcos’altro, magari un’imperfezione, se ne va. Che effetto avrà Musicultura 2023 su Lamante?
Mentre tornavo a casa in treno da Macerata (dalle Audizioni Live, ndr), con il premio del pubblico ho proprio pensato che senza l’esperienza del Bianca d’Aponte e del Rock Contest non sarei arrivata a Musicultura. Non sarei stata al Lauro Rossi, immersa nelle parole che stavo cantando, se non avessi prima calcato quei palchi, e mi è sembrato in un certo senso che la commissione di Musicultura questo lo avesse capito. In effetti erano anni che provavo a entrare nella rosa dei 56 e non ci riuscivo: evidentemente non ero pronta, ma sapevo che lo sarei stata. Penso che ogni singola esperienza musicale mi permetta di avere sempre più consapevolezza di me stessa. Ciò che mi auguro alla fine di questa bellissimo evento è che nei live o nello studio di registrazione io possa essere quello che faccio e fare quello che sono, fino a che non si distinguerà più l’uno dall’altro, il personaggio dalla persona, cercando di diventare un tutt’uno con il momento presente, per essere sempre più autentica nel modo di esprimermi artisticamente.
Tra poco uscirà il tuo primo EP, Come volevi essere. Puoi darci qualche anticipazione?
Oggi l’industria musicale è satura, esausta: solo in Italia escono circa 80 pezzi al giorno. Io non ho mai pubblicato niente della mia musica (anzi, è strano pensarmi fuori!), non ho Spotify e non uso piattaforme di streaming, però mi sono dovuta rapportare a tutto ciò. E ho capito che non avrei pubblicato niente che non mi rispecchiasse al 100% o che non avesse veramente senso dire. Quando ho conosciuto il mio produttore, Taketo Gohara, lui era d’accordo con me: è per questo motivo che in un anno mi ha fatto scrivere più di 75 pezzi completi, musica e testo. Abbiamo scelto solo i migliori, cioè meno del 10%. Quindi posso dirvi che sarà un lavoro curato all’estremo, pensato non nei tecnicismi ma nelle emozioni e nei contenuti, creato mettendo in discussione giorno per giorno ciò che volevo dire, ascoltando molta musica e leggendo tantissimo. Anche la mia immagine estetica è il risultato provvisorio di una ricerca lunga, approfondita con l’aiuto di un team fantastico. L’EP sarà preceduto da due singoli che verranno pubblicati insieme ai video scritti da me e dal regista Niccolò Bassetto con la direzione artistica di Giulia Sanna.