A sei anni inizia a studiare pianoforte; poi si dedica al canto moderno fino alla laurea in musicologia: è una vita votata alla musica quella di Lilo. Nel 2010 fonda un duo semi-acustico, Lylo, che produce due EP in lingua inglese. Nel 2017 cambia “pelle” e anche nome: un progetto solista con testi in lingua italiana e sound elettronico. Pubblica dapprima numerosi singoli e poi, nel 2020, un EP dal titolo “Diverso”, che racchiude un percorso di esperienze e trasformazioni. Adesso è in cantiere il suo primo album; e, sempre adesso, è tempo di Musicultura, perché il suo nome fa capolino tra quello dei sedici finalisti del concorso. Ecco cosa ha raccontato la cantautrice a “Sciuscià”, la redazione del Festival.
Hai esordito nella tua carriera d’artista in un duo musicale e cantando in lingua inglese; hai poi proseguito da solista e in lingua italiana. In questo passaggio, quanto è rimasto della vecchia Lilo e quanto c’è di nuovo in quella di oggi? C’è qualcosa in particolare che hai maturato nel tuo progetto da solista che non era ancora emerso rispetto al passato?
Che bella domanda che mi hai posto! Mi ha fatto ragionare su quanto un cambiamento ci faccia effettivamente mutare. Come un rettile cambia il suo involucro, durante una muta, per fare spazio a un sé cresciuto, così mi sento io rispetto alla Lilo del passato: più grande, più adulta, più consapevole. Ho cambiato la pelle tante volte, per necessità, perché è fisiologico, ma sotto tanto a quella nuova quanto a quella vecchia ci sono sempre io. Rispetto al passato, quindi, ora sul palco mi porto anche Laura, non solo Lilo. I nomi d’arte a volte ti ingannano, ti fanno percepire come una persona diversa ai tuoi stessi occhi. Dunque sì, quando sono Lilo mi ricordo di invitare sempre anche Laura, e viceversa.
Hai dichiarato che fare musica ti rende felice, è una luce che ti illumina e ti permette di dire ciò che vuoi. La strada della vita è fatta di zone illuminate, ma anche di frangenti d’ombra. Che ruolo ha avuto e ha tutt’ora la musica negli alti e bassi della tua vita?
La musica è il mio lavoro, è il mio hobby, è dove mi perdo e spessissimo dove mi ritrovo. È dove incontro gli altri e dove sto da sola. La musica mi serve anche quando non c’è, quando decido di non ascoltarla, di non praticarla, di allontanarmene. Non saprei dirlo meglio di così.
Gospel 121, brano con cui ti sei esibita sul palco di Musicultura, sembra aprire un dialogo con qualcuno a cui si rivela la sensazione di essere compresi. La sua chiave di lettura si iscrive più in una dimensione religiosa e spirituale o umana e terrena? E poi, “121” è un riferimento al relativo salmo biblico o c’è dell’altro?
Gospel 121 ha un’accezione estremamente e intrinsecamente terrena. È come ci si sente a essere visti, capiti, rispecchiati. È una sensazione talmente tanto umana da sembrare divina in qualche modo. La canzone si intitola così perché non sono brava con i titoli, non sono brava a sintetizzare, come credo si evinca facilmente dalle risposte che do. Avevo in mente di sperimentare con un pezzo che avesse l’andamento di un pezzo gospel, con delle modulazioni e delle aperture armoniche tipiche di quell’universo sonoro. Per cui al provino ho messo il titolo di “Gospel” per ricordarmi dove volevo andare. Poi, arrivato il momento di scegliere il vero titolo, a produzione ultimata, ho chiesto a Matteo De Marinis – producer del brano e batterista nel live – a quante tracce di voce fossimo arrivati nella nostra folle sperimentazione. Lui mi ha risposto, tra lo sbigottito e l’esausto: “Centoventuno!”. E “Gospel 121” fu.
Dopo questi anni di carriera musicale in cui hai pubblicato svariati singoli e un EP, adesso c’è in calendario l’uscita del tuo primo album. Cosa dobbiamo aspettarci da questo lavoro?
L’album che sta prendendo forma in questi mesi è un lavoro nel quale ho seguito molto l’idea di musica che ascolterei, di musica che mi piace prima di tutto come ascoltatrice. Non posso dire di più perché per ora questo è tutto quello che so.
Studi musica fin dall’infanzia. In questo percorso ci sono sicuramente stati artisti importanti che ti hanno ispirata particolarmente. Se dovessi pensare a una collaborazione con qualcuno di loro, con chi desidereresti condividere il palco?
Recentemente sono stata al concerto di James Taylor, artista che stimo moltissimo e che ho conosciuto grazie a mia madre. La sua musica è stata colonna sonora di tantissimi pomeriggi della mia infanzia. Penso che mi piacerebbe condividere il palco con lui perché durante il suo concerto ho percepito che tra James e i suoi musicisti scorrevano una stima altissima, una fiducia cieca e una tranquillità placida derivata dal fare musica insieme. Questa cosa mi ha emozionato parecchio.