Nasce a Pisa; inizia a cantare da bambina grazie a delle lezioni di musicoterapia; debutta ufficialmente nel 2020 con l’EP “?”; nel 2022 esce “il senso di questo caos”: così cecilia (tutto minuscolo, sì!) arriva a Musicultura con un bagaglio pieno di polaroid, esperienze, sentimenti. La sua musica si configura come un lavoro introspettivo che la vede fare i conti con una sensibilità instancabile, sempre in movimento. I mezzi per incanalare questa vitalità emotiva nelle canzoni? Una voce “multiforme”, una scrittura intimista e sonorità internazionali: è lei stessa a spiegarlo in quest’intervista alla redazione di “Sciuscià”.
“Non credo di aver mai avuto la gola così secca”, hai dichiarato sul palco delle audizioni di Musicultura. Che emozioni hai provato in quell’occasione e cosa ti aspetti da questa nuova fase del Festival?
Sto vivendo un periodo emotivamente complicato, fatto di notti insonni e pensieri
annodati. Temevo che questa stanchezza potesse compromettere la mia esibizione, ma contro ogni aspettativa, arrivata in teatro, la tensione si è ridimensionata: mi sono sentita nel posto giusto – buffo, non succede spesso! Nel camerino ho avvertito un po’ di agitazione; ho accolto la paura meditando e una volta sul palco ho canalizzando le emozioni che stavo provando dentro il suono. L’ansia si è trasformata in energia, forza, concentrazione, voglia di dare tutto. Ahimè, la gola secca è uno dei principali sintomi di questo stato d’animo e in quella circostanza credo dipendesse dal fatto che tenevo davvero molto a quella esibizione. Quanto a questa nuova fase del concorso, invece, non ho aspettative: voglio imparare a vivermi bene le cose che succedono e dare il meglio di me.
Restiamo ancora in ambito Musicultura: i due brani che hai presentato alla giuria del Festival, Lacrime di piombo da tenere con le mani e Coltrane, sembrano non riuscire a inserirsi in uno specifico genere musicale ma, al contrario, paiono muoversi tra diversi stili. A cosa è dovuta questa oscillazione?
Le mie canzoni sono un’estensione artistica di me, si muovono insieme al mio stato
d’animo e sono una polaroid del momento che ho vissuto. Dentro Lacrime di piombo da tenere con le mani ci sono abbandono, rabbia, tristezza, voglia di rivalsa. In Coltrane, invece, convivono la malinconia del ricordo di una relazione che non ha funzionato e la voglia di andare avanti e scoprire cosa ci sarà dopo; ci sono contemporaneamente consapevolezza e leggerezza, che ho voluto trasmettere con il ritornello in simil scat jazz. Mi piace parlare sia con le parole che con la musica: il genere musicale è a supporto del messaggio che la canzone vuole mandare, il collante è la mia voce.
Mi ricollego alla risposta che hai appena dato: la dinamicità, appunto, è presente anche nella tua voce, che attraversa prima attimi di morbidezza e fragilità, poi di forza e decisione. È anche quello un modo per esprimere la pluralità dei tuoi sentimenti? Come riescono questi ultimi, seppur così diversi, a convivere circoscritti in una sola canzone?
Si dice che la voce sia “lo specchio dell’anima”: per quanto lo ritenga un po’ banale,
trovo che ci sia un fondo di verità. Alterno momenti di ordine e di caos, di
consapevolezza e di drammaticità; queste emozioni si manifestano anche nella mia voce e nel mio modo di esprimermi. È venuto fuori in modo naturale e ho fatto un grande lavoro per accettarlo: è la mia emotività a parlare, ho imparato ad amarla così com’è. Nelle strofe tendo a essere più narrativa, rimanendo su ottave basse; nei ritornelli lascio spazio alla parte più istintiva raggiungendo note più alte e aprendo la voce. Da qui lo sbalzo dinamico.
I tuoi testi sono fatti di immagini pronte a donarsi al pubblico che ti ascolta. All’inizio della tua carriera musicale scrivevi pezzi in inglese: riuscivi a ottenere lo stesso risultato o credi di aver acquisito immediatezza espressiva nel passaggio alla scrittura in italiano?
Tra l’italiano e l’inglese c’è un abisso. Nonostante si parli sempre di musica, sono due linguaggi molto diversi: in inglese puoi permetterti di fare meno ricerca testuale grazie all’armonia della lingua, concentrandoti maggiormente sulle linee melodiche e sulla musica. Scrivere in italiano, invece, è una sfida costante: mettere insieme il significato di ciò che vuoi dire con padronanza di timing, testo e melodia non è per niente facile. Fare questo tipo di lavoro mi ha sicuramente complicato la vita -scherzo!- ma mi ha fatto crescere tanto, portandomi ad approfondire e -credo- a far emergere una parte più vera di me.
Lacrime di piombo da tenere con le mani: quanto la musica ti aiuta a sostenerne il peso?
Mi limiterò a dire che è un’arma a doppio taglio. La musica senza il contorno
dell’industria musicale è sicuramente un’arte terapeutica. Ho iniziato a studiarla a otto anni con un’insegnante di musicoterapia sotto intuizione di mia madre, che aveva capito che cantando e suonando la sensazione di ansia – già nutrita da piccola- poteva alleviarsi. Quindi, rispondendo alla domanda: sì, nella maggior parte delle volte, la musica aiuta a sostenere il peso.