Maionese. La ricetta di Caponetti per Musicultura 2023

Disorientamento, fretta, autoproduzione e semplicità, più una laurea in economia e una passione smodata per la serie B: sono questi gli ingredienti di Caponetti e della sua Maionese, il brano scelto per la finale della XXXIV edizione del Festival. Dopo la scuola, Claudio inizia a girovagare per l’Europa, sempre con la chitarra in mano, studiando e raffinando il proprio suono, fino all’approdo a Milano. Nel 2015 pubblica il suo primo Ep. Anche se non ne va molto fiero, Tutti contro tutti alla fine – dice – è stato una tappa necessaria verso l’autenticità e la profondità di Maddai, l’Ep uscito nel 2020 per Carosello. Ora, come ha dichiarato sul palco delle Audizioni Live, ha intenzione di pubblicare una canzone ogni due mesi. La cifra del cantautore ascolano è quella di un pessimismo concreto ma lieve, e che, in senso un po’ montaliano, in mezzo alla bufera non si arrende e conserva “la cipria nello specchietto”. Insomma, il cielo sarà anche nero come recita il nuovo singolo, però Caponetti riesce ad aprire davvero qualche spiraglio d’azzurro.

Sei stato vincitore di “Genova per voi”, autore per la Universal, artista in giro per l’Europa. Ti sei persino cimentato nella musica per pubblicità. Che posto occupa, ora, Musicultura nel tuo percorso?

Da quando ho deciso di intraprendere la carriera musicale ho capito che la differenziazione è l’unico modo che ho per crearmi una minima stabilità. Negli anni ho fatto tante cose, anche molto diverse tra loro, ma sono state tutte tappe importanti perché hanno costituito quello che sono oggi e quello che so
fare. Purtroppo sia l’esperienza da autore sia il mio esordio artistico non sono andati bene. Il mio primo disco è uscito quasi all’inizio della pandemia ed è stato molto difficile e frustrante non riuscire a farsi sentire e a trovare concerti. Credo che Musicultura sia l’opportunità che cercavo da tempo: come finalisti avremo modo di far uscire le nostre canzoni dalle camerette e dalla sala prove. È un palco
importantissimo per progetti musicali come il mio, che non vogliono omologarsi ai talent televisivi o ai tentativi di viralità. È una grande chance di crescita, a livello artistico ma anche umano.

L’autoproduzione per te è fondamentale: scrivi, componi e disegni persino le copertine dei singoli. Allora nella tua testa come nasce una canzone, compreso tutto ciò che le ruota intorno?

Tempo fa cercavo solo la musica, oggi cerco i “perché” dietro le canzoni. Un progetto musicale non può essere solo un mucchio di pezzi orecchiabili. Deve veicolare un messaggio, una visione, una prospettiva. È per questo che ho iniziato a fare quasi tutto da solo, perché quello che propongo è il mio mondo e (purtroppo) solo io lo posso interpretare. Dietro ogni canzone c’è una ricerca interiore:
attraverso le melodie che mi piacciono cerco di scavare nei miei lati più vulnerabili per riportarli alla luce. Solo così posso essere un artista credibile, integro e autentico, anche nella composizione.

Nel primo verso di Maddai ti chiedi: Che vuol dire si è fatto tardi? Forse questo mondo che va tutto al contrario ti mette fretta?

Questo mondo non solo mi mette fretta, ma mi spaventa anche. Mi capita spesso di non ritrovare intorno a me i valori con cui sono cresciuto e di venire puntualmente deluso da tanti tipi di persone e di rapporti. Ogni tanto ho paura di non essere capito o di essere frainteso, però col tempo ho realizzato che, una volta scelta la propria strada e il proprio spazio nel mondo, bisogna andare dritti su quel
percorso.

Nei tuoi ultimi singoli il cibo è quasi una costante: Cena di Natale e Maionese lo contengono nel titolo, in Google Maps la vita sembra un’insalata che non sa di niente e nella tua biografia spuntano le olive all’ascolana. Sei un artista affamato o c’è qualcosa di più in questo abbinamento tra musica e cibo?

Vivo da solo da molti anni. Ho imparato a cucinare un po’ per necessità e un po’ per passione. La mia casa è piuttosto piccola, così mi sono costruito un home studio. In questo spazio soggiorno/cucina/studio mi capita spesso di registrare e cucinare contemporaneamente, e alla fine mi sono accorto che tanti oggetti legati alla cucina confluiscono nelle canzoni, proprio perché ce li ho spesso tra le mani. Nella mia scrittura cerco sempre di utilizzare parole ed elementi semplici, di tutti i giorni, per rimandare a un significato più profondo e meno immediato. Penso che il cibo abbia un alto valore simbolico e mi piace tirarlo in ballo anche per descrivere gli stati d’animo. Maionese, per esempio, è una canzone che affronta la depressione e la solitudine: l’ho iniziata a scrivere proprio aprendo il frigo vuoto di casa e realizzando la mia condizione in quel momento, che era appunto in frigo maionese e acqua minerale. Credo che in questa frase ci sia tutto il sentimento del brano. Magari un rapper famoso avrebbe scritto e in frigo aragoste e Don Perignon.

Il 14 aprile è uscita la tua ultima canzone, Nero. Quale è la sua storia?

Nero è uno spartiacque nella mia carriera perché l’ho interamente prodotta da solo, registrando tutto in casa senza mai andare in studio. Questo brano è un urlo nel buio, un gioioso sfogo di rabbia e di risentimento verso tutte le persone che mi hanno fatto del male gratuito. Inoltre c’è una forte mancanza di fiducia nel futuro, soprattutto per le nuove generazioni. Questa canzone, come molti dei miei pezzi, descrive situazioni reali che inducono al pessimismo, ma che lasciano sempre aperto uno spiraglio di speranza. Credo che in ogni momento di difficoltà, se non ci si fa sopraffare dallo sconforto, ci sia sempre una grande occasione di crescita.