La carriera dei Frenesi è agli inizi eppure già densa di esperienze: l’apertura di concerti di Marlene Kuntz e La Rappresentante di Lista al Climate Social Camp, il workshop di scrittura con Willie Peyote, quest’anno la partecipazione a Musicultura. Il progetto, inizialmente solista – della cantante Martina -,
nel 2022 si trasforma in collettivo, con una ricerca stilistica che trae linfa dalla mitologia classica e norrena: un’alchimia di suoni e immagini richiamata spesso nei testi, che sono ricchi di simboli, riferimenti mitologici e giochi linguistici in latino. Ogni fonte di ispirazione esterna è sapientemente resa propria e cucita sul vissuto personale. Il repertorio della band è infatti permeato da una grande
sensibilità e dalla volontà dei componenti di mostrarsi veri, autentici, intensi. Vivono le emozioni in maniera viscerale e le rilasciano attraverso una musica liberatoria che loro stessi definiscono “a un passo dalla frenesia”. Raccontare la bellezza e l’amore comporta perciò il doloroso passaggio attraverso la punizione, la vendetta, la sofferenza. La musica diventa il canale privilegiato per donare all’ascoltatore frammenti autentici di sé e riunirli in un’anima unica, la stessa a cui hanno dato voce in questa intervista con la Redazione di “Sciuscià”.
Per cominciare, raccontateci la vostra storia. Come nasce il progetto Frenesi e qual è il significato del vostro nome?
Frenesi nasce come progetto solista della cantante Martina, che successivamente decide collaborare con altri musicisti per ampliare la sua ricerca sonora, fino a giungere all’identità ormai collettiva del progetto. Così conosce Francesca (batterista), Alessandro (chitarrista) e Guglielmo (bassista). Il nome della band
è dato dall’unione tra Freya, dea molto rinomata nella mitologia norrena e personificazione della bellezza e dell’amore, e Nemesi, dea che nella mitologia greca e latina rappresenta la personificazione della vendetta. Frenesi è un progetto musicale a un passo dalla frenesia: la vendetta e la punizione dell’amore; la giustizia, l’interpretazione della punizione di un estremismo bello, sensuale e fertile.
Nei vostri brani parlate spesso di sofferenza, disturbi mentali, ma anche di cura. Per voi la musica è più una manifestazione di malessere o un processo di guarigione?
Sicuramente il processo di scrittura è in sé lo sfogo, la manifestazione del malessere. Il processo di guarigione si attiva nel momento in cui suoniamo i nostri brani, con la consapevolezza di aver attraversato un periodo difficile che ci ha permesso di crescere e donato esperienze di vita. Poi, lo stare insieme in sala prove e condividere esperienze è già un processo di guarigione!
Avete condotto un workshop di scrittura con Willie Peyote. Vi va di raccontarci come vivete il processo creativo? Quando componete un brano nasce prima il suono o la parola?
Solitamente è Martina, la cantante, a occuparsi della composizione testuale, e tutti gli altri membri del gruppo si occupano della composizione musicale. Martina comincia a scrivere delle frasi “input”, su cui successivamente si lavora tutti insieme in sala prove e lì le parole si creano di pari passo con la musica!
Ecco, Martina: questa domanda è tutta per te. E non sai a chi appartengono le tue emozioni / Falli tuoi tutti questi frammenti: in Deja, il brano selezionato per il Concerto dei finalisti di Musicultura, si parla di identità frammentata, di riconoscimento di sé allo specchio e del dolore che risulta dalla frantumazione dell’io in tante schegge taglienti. Quale frammento di te affidi al tuo progetto musicale e qual è il rapporto tra la vita di Martina e l’arte di Frenesi?
La cosa più bella, ma soprattutto più vera, che mi viene da dire è: con la musica c’è la reintegrazione di tutti i frammenti. Non c’è un unico pezzo che affiderei al progetto, ma è un’anima completa che parla da sé. Sicuramente all’interno dei brani ci sono molte strutture autobiografiche che hanno fatto sì che il progetto Frenesi diventasse una lama. Sta poi all’ascoltatore immaginarla come meglio crede: se affilata o con la punta spezzata.
In passato avete aperto concerti di grandi artisti come La Rappresentante di lista e Marlene Kuntz. Che ricordo conservate di queste esperienze e con quali musicisti vi piacerebbe esibirvi in futuro?
L’apertura di questə grandi artistə è stata un’esperienza a dir poco formativa e bellissima. Abbiamo tantissimi progetti ma soprattutto tantissimi gusti diversi. Sarebbe un sogno aprire artistə di grosso calibro come Paolo Nutini e Blink 182.