Rock-blues, musica folk, poesia e arte di strada. Quello di AMarti è un continuo viaggio alla ricerca di se stessa e della propria felicità motivato da un forte bisogno di esprimersi con emozione, purezza e onestà. Il suo progetto artistico, nato nella provincia ferrarese e fiorito in Scozia, conquista un posto tra i sedici finalisti di Musicultura.
Hai vissuto per alcuni anni in Scozia. In che modo questa esperienza ha contribuito alla tua formazione musicale e cantautorale?
Quando sono andata in Scozia cercavo una via d’uscita dalla persona che ero diventata in Italia. Amavo cantare ma credevo di non avere il coraggio di farlo. Glasgow aveva tutte le opportunità per lanciarsi nel mondo della musica: jam session rock, blues, musica folk e arte di strada. Ricordo bene la mia prima volta a un open mic. In quel momento sentii una forte sensazione di completezza. Trovai finalmente una risposta alla domanda che ricorreva insistentemente in quegli anni: “Cosa vuoi diventare?”. Da lì è iniziato tutto. Prima cover rock-blues e soul, poi ho seguito un corso di music performance in un college di Glasgow e successivamente ho iniziato a scrivere testi inediti e melodie vocali per alcuni gruppi. Ogni tanto in quel periodo abbracciavo timidamente la chitarra per creare canzoni completamente mie, sperimentando uno strumento che conoscevo pochissimo.
Sei una busker. Dici che “la strada è un posto dove le persone possono fermarsi o non fermarsi, apprezzare o non apprezzare quello che si fa. Per me è un continuo esperimento, un buonissimo allenamento”. Come questo aspetto del tuo essere artista ti aiuta ad affrontare contesti musicali come quello di Musicultura?
In fondo il bisogno è lo stesso: esprimere me stessa completamente con emozione, purezza e onestà, sperando di attraversare gli altri, in piazza o in teatro.
Sul palco delle Audizioni Live hai presentato il singolo Pietra, un richiamo alla forza della natura in contrapposizione alla fragilità dell’essere umano. La tua è una musica che fluisce e batte a ritmo del cuore di chi la esegue. Quanto credi sia importante per un artista che fa musica raccontare la propria verità e le proprie fragilità nelle canzoni?
Credo che un’artista ne abbia un’intrinseca necessità, fa parte del suo essere. Questa ricerca è dolorosa perché ci fa scoprire parti fragili della nostra personalità e sofferenze che ci impediscono di essere pienamente felici, noi stessi e quindi verità. Vivere queste emozioni significa accoglierle con pazienza. Pietra ha significato questo. Affidandomi all’amore, rappresentato dalla forza della natura, ho scoperto in me una grande fragilità che poi ho saputo trasformare in forza.
Sei un’artista a tutto tondo. Oltre alla musica ti dedichi anche alla pittura e alla poesia. Come concili questi lati diversi della tua creatività e in che modo si contaminano tra di loro?
Cerco di usare la pittura ogni volta che rendo pubblica una canzone. A ogni brano abbino un quadro che si anima tramite una applicazione del cellulare. La pittura ha avuto anche una sua vita indipendente così come la poesia, nata qualche anno fa e sbocciata quando mi sono innamorata per la seconda volta del mare di casa, Porto
Garibaldi. Di recente le poesie che compongo spesso diventano i testi delle mie canzoni, come nel caso di Pietra.
Ti definisci una “cantautrice dream folk”. Quanto il folklore è presente nella tua musica e in che modo si declina nella composizione e nella stesura dei brani?
Quel termine me lo sono inventato. Sento in me un richiamo popolare antico unito a una sensazione sognante. Quando scrivo, cerco di farmi attraversare dall’arte. Nel farlo forse c’è sempre qualche antenna settata sulla musica araba, medievale, balcanica, bulgara, italiana del sud, celtica.