Cristiana Verardo approda a Musicultura dopo una serie di progetti che la vedono partecipare a diversi festival musicali e tour internazionali. In questa intervista, la cantautrice e chitarrista salentina racconta alla Redazione di “Sciuscià” in che modo vive il suo rapporto con la musica, strumento di introspezione e di analisi delle sue esperienze ed emozioni.
Sappiamo che questa non è la prima volta che partecipi a un festival musicale. Nel 2019, per esempio, hai vinto il Premio Bianca D’Aponte. Cosa ti aspetti, ora, da un festival come Musicultura?
Non mi fa bene avere molte aspettative, preferisco vivermela e metterci tutto l’impegno possibile. Fino a ora Musicultura è stata un’esperienza bellissima e sono molto contenta che non sia finita al Teatro Lauro Rossi di Macerata, con le Audizioni Live: sono sicura che il meglio debba ancora venire e sono molto felice
mi sia stata data questa preziosa opportunità con la mia selezione tra i sedici finalisti del concorso.
La tua produzione musicale è molto sensibile alle tematiche sociali, in particolare a quella della disparità di genere. Guardando al mondo della musica, pensi che le donne abbiano ancora molta strada da fare?
Facendo riferimento alla disparità di genere in un’accezione più ampia pare sia arrivato il momento di potere avere la possibilità di percorrerla questa strada (anche se non in tutte le parti del mondo purtroppo), di poterla avere sotto i piedi. Eravamo in attesa ai “blocchi di partenza” da millenni! Per quanto riguarda la musica in Italia, i dati dicono che le cose stanno cambiando ed effettivamente me ne accorgo anch’io dalla presenza più consistente di artiste donne nei cartelloni di festival e rassegne, così come nelle classifiche, sempre in minoranza, ma almeno presenti!
Durante le Audizioni Live hai dichiarato che Ho finito le canzoni rappresenta “un segnalibro sulla prima pagina di un capitolo difficile della mia vita”. Il testo è infatti intriso di sentimenti contrastanti, dalla voglia di riscatto alla nostalgia contenuta nel verso “l’amore ci passa di fianco, non guarda nemmeno”. In che modo la musica ti è stata di supporto in questo periodo difficile?
La musica, soprattutto se la scrivo, mi aiuta a mettere in ordine i pensieri: di solito quello che scrivo è la verità più profonda delle cose che vivo. Scrivere mi mette a nudo e quindi mi aiuta a guardarmi veramente dentro.
3000 anni, che abbiamo ascoltato sempre durante le Audizioni Live del Festival, racconta invece una storia d’amore tra due alberi d’ulivo. Quanto sono importanti per te le radici salentine e quanto le troviamo nella tua musica?
Io sento di avere sotto i piedi delle radici elastiche che mi permettono di muovermi in libertà ma che alla fine mi fanno ritornare sempre da dove sono partita. Ho un attaccamento viscerale alla mia terra e mi piace raccontarla nella mia musica, a volte attraverso le sonorità, altre volte con le storie, come in 3000 anni.
Come ti prepari prima di salire sul palco? C’è un rituale, un gesto scaramantico, un portafortuna a cui ti affidi? Come cerchi la concentrazione prima di una performance?
Di solito ho bisogno di stare 10 minuti da sola per farmi un ripasso veloce di quello che dovrà accadere sul palco- Lo faccio per resettare, mi aiuta molto. E poi un gin tonic o un bicchiere di vino, anche quello mi aiuta molto.