Per i Santi Francesi tornare a calcare il palco dello Sferisterio, a due anni dalla vittoria, è come tornare a casa. Il duo racconta alla Redazione di Sciuscià che dal 2021 a oggi sono cambiate tante cose, tranne loro. Un intervallo di tempo apparentemente breve scandito da ritmi frenetici, nuovi brani, nuove collaborazioni e tanta musica. Il loro ultimo EP, In fieri, racchiude il significato del loro progetto artistico, “in divenire”: convogliare un vento di cambiamento senza mai snaturarsi; evolvere di pari passo col mondo e non sentire mai di essere arrivati. Alessandro De Santis e Mario Francese sono due Giovani Favolosi – questo il titolo del brano con cui hanno vinto Musicultura nel 2021 – pieni di talento, energia e umiltà. Lo hanno confermato sul palco in occasione della prima serata finale del Festival; lo hanno confermato anche rispondendo alle domande di questa intervista.
Nel 2021 vincitori, oggi ospiti. Cosa si prova a ritornare a Musicultura dopo soli due anni?
Stavo pensando a “soli due anni”. Due anni sono tantissimi, soprattutto per la mole di lavoro che abbiamo affrontato in questo arco di tempo; però, quando siamo rientrati allo Sferisterio di Macerata, abbiamo avuto l’impressione che non fossero mai esistiti. È bello perché è un po’ come tornare a casa. Questo Festival ci ha dato una spinta gigantesca, soprattutto a livello di invenzione. È stata una vittoria inaspettata, un crocevia importante per noi: ha sancito il cambiamento del nostro nome, di una serie di aspetti all’interno del nostro progetto, e di approcci alla musica e alla vita in generale. Ricordiamo Musicultura 2021 come un’esperienza estremamente formativa. Eravamo appena usciti da un anno e mezzo di Covid, di vuoto, di distruzione totale, e abbiamo avuto l’opportunità di suonare dal vivo. È stata la scintilla che ha riacceso in noi la voglia di fare musica e di farla ascoltare alle persone. Tornare da ospiti è un onore, e un’occasione per ringraziare tutti coloro che organizzano e portano avanti il Festival, che ci hanno accolto meravigliosamente in questo posto e che hanno apprezzato il nostro modo di essere.
Lo scorso dicembre avete vinto la sedicesima edizione di X Factor con il vostro inedito Non è così male. Come vi ha cambiati, artisticamente parlando, il vostro percorso al talent di Sky?
A dir la verità, artisticamente parlando, non ci ha cambiato tanto. Siamo arrivati a X Factor, abbiamo presentato la nostra musica e ci hanno detto che era carina, di continuare a proporla e vedere cosa sarebbe accaduto. Poi è successo che abbiamo vinto, è andata bene. Forse ci siamo un po’ velocizzati nella produzione e nella realizzazione delle cover. Ma la cosa figa è proprio che non siamo cambiati, che non ci hanno cambiato. È mutato un po’ il mondo attorno a noi.
Voi avete conquistato il pubblico semplicemente con la vostra musica, senza una sovraesposizione sui social e andando un po’ controcorrente rispetto a quello che vediamo e viviamo oggi. Pensate di essere solo un’eccezione, oppure siete la spia di un cambiamento dell’approccio del pubblico verso il mondo musicale?
Forse è ancora presto per dare un risposta certa. X Factor ci ha garantito la possibilità di non usare i social network perché in quel periodo eravamo costantemente in tv. A noi piacerebbe molto essere la spia di un cambiamento, non lo neghiamo; infatti un nostro desiderio sarebbe riuscire a fare questo lavoro senza il supporto dei social network. Non lo affermiamo per presunzione o per un qualche tipo di congettura, ma semplicemente perché non ci riteniamo capaci, e non abbiamo particolarmente voglia di appartenere a quel tipo di comunicazione.
Potrebbe essere prematuro, ma secondo noi, nella nostra generazione c’è un vento di cambiamento. Si inizia a percepire una sorta di distacco nei confronti del mondo digitale:
prima i social erano una novità, adesso forse questo tipo di realtà sta diventando un po’ monotona.
Mi ha molto colpito il nome del vostro EP, In fieri, locuzione latina che significa in divenire. Perché avete scelto questo titolo?
È stata una scelta abbastanza casuale: è nato come nome di un singolo, che poi alla fine non
abbiamo usato. Ci piaceva molto il significato di tale espressione, quindi, al momento di
scegliere in che modo intitolare l’album, ci siamo detti: “Perché non chiamarlo così?”. In Fieri ha un valore simbolico per noi, rappresenta un po’ quello che siamo: in continua evoluzione, in divenire appunto; guardiamo sempre molto lontano, verso un arrivo che in realtà non esiste, perché è il cambiamento quello che ci piace attuare in ogni singolo periodo della nostra vita.
La Noia è il vostro ultimo singolo, uscito appena una settimana fa. Che significato attribuite a questo stato d’animo?
Personalmente non abbiamo una risposta univoca a questa domanda: ci sono momenti in
cui la noia, se condita con ansia e altri sentimenti, viene vissuta in modo negativo, e altri in cui, se associata a uno slancio propositivo, può diventare il motore e la spinta per muoversi.
Nella canzone parliamo del fatto che in questo periodo, in cui è tutto molto veloce e pieno di stimoli, stiamo perdendo la capacità – che poi forse ci rende degli esseri umani singolari e unici quali siamo – di annoiarci. La Noia è un invito a oziare, a fermarsi un attimo, a guardarsi intorno, e a cercare di percepire quello che c’è nell’aria, che forse è molto più incredibile e assurdo di ogni viaggio che si possa fare.