Con una lunga carriera alle spalle, iniziata negli anni 80, quando non era ancora ventenne, Paola Turci rientra senz’ombra di dubbio nel novero delle maggiori figure di riferimento del panorama musicale italiano. La sua voce, profonda e intensa, si presta perfettamente all’attività di cantautrice minuziosa nella scelta delle parole per i suoi brani – a volte delicati e commossi, altre decisi e pungenti –, e a quella di interprete profonda e viscerale. La dimensione live è quella che ama di più e ben quattordici sono gli album registrati in studio. Eppure la carriera dell’artista romana non è fatta solo di canzoni: queste si intrecciano a una passione vivace per la recitazione, un tour teatrale in moltissime città italiane e, soprattutto, un introspettivo cammino personale lungo il quale si riscopre una donna forte e fragile allo stesso tempo. Questa relazione ossimorica tra i due aspetti del suo carattere – in realtà perfettamente coerente – deriva dal suo continuo confronto con le insicurezze, con cui non ha paura di trovarsi da sola faccia a faccia. Alla redazione di “Sciuscià” ha raccontato come, da questi presupposti, si può arrivare ad apprezzarsi e valorizzarsi, superando in propri limiti.
La sua carriera la vede legata particolarmente a un palco molto importante, quello di Sanremo; ben nove le partecipazioni al Festival, tra cui una vittoria con il brano Bambini e tre Premi della Critica. Cos’è cambiato dalla prima alle successive partecipazioni?
Qualcosa cambia sempre. Sono molto legata al Festival di Sanremo e ogni partecipazione ha avuto qualcosa di speciale, è stata unica. Ovviamente, l’occasione in cui si vince è diversa da quella in cui si perde: momenti differenti, sì, ma non così lontani come si può pensare perché quel palco è in grado di regalarti costantemente un insegnamento: qualunque sia il risultato, è sempre un momento di crescita, di confronto con l’altro e con se stessi molto importante.
L’esibizione
Il suo percorso musicale si intreccia con un cammino personale di crescita e accettazione che trova massima manifestazione nel monologo Mi amerò lo stesso; ne viene fuori l’immagine di una donna consapevole che, nel corso della sua evoluzione, si scopre forte e determinata. È così? Qual è, dall’altra parte, il suo rapporto con le insicurezze?
Anche se da fuori posso sembrare una donna forte e determinata, non è sempre così: è un aspetto del mio carattere ma in pochi momenti riesco a essere realmente sicura di me. In realtà sono piena di insicurezze con cui, però, ho un rapporto bellissimo: sono la mia benzina, vado avanti a paure e fragilità. Può sembrare una contraddizione, ma è proprio nei momenti di incertezza che mi costruisco e trovo la forza; diciamo che la mia è un’accezione particolare dell’ottimismo: qualsiasi cosa accada, in questo modo riesco sempre a trovare un elemento da cui ripartire più decisa di prima.
Continuando a parlare di consapevolezza e del rapporto che ognuno di noi ha con se stesso: spesso purtroppo, soprattutto fra i giovani, è difficile e conflittuale la relazione con lo specchio, con la propria immagine, con i canoni sociali. Come, secondo lei, è possibile imparare a volersi più bene?
Non è un percorso facile e non sarei onesta se vi dicessi semplicemente “Vogliatevi bene”: sono stata la prima a non averlo fatto per molto tempo. Nel corso degli anni ho imparato ad apprezzarmi e, dunque, ho avuto dei momenti di affetto verso me stessa, senza i quali non sarei arrivata qui, come sono oggi. La cosa particolare è che il modo di volersi bene è incredibilmente vicino a ognuno di noi, talmente vicino che rischia di scivolarci dalle mani, lo abbiamo addosso: è nel corpo, nella mente, nella propria materia interiore e nei propri sogni. Siamo noi stessi a sabotarci il più delle volte, ma la cosa positiva è che tutto sta nelle nostre mani e la decisione di cambiare è di ognuno di noi, però bisogna imparare a vedere solo quello che è davvero importante. Non credo che ci sia una ricetta precisa per farlo; sicuramente ai giovani direi di guardare i più grandi, i maestri, quelli che hanno fatto molta strada. Infatti, solo attraverso l’esperienza ci si rende conto che esiste una soluzione. Probabilmente è una questione di tempo, ma la chiave si trova sempre.
Oltre alla musica, nota è la sua passione per il teatro, nel quale si è già sperimentata come attrice. Tra l’altro, l’abbiamo vista nella giura del Festival di Locarno e della Mostra del Cinema di Venezia. C’è un legame tra l’attività di cantautrice e questo interesse per la recitazione? Avremo l’occasione, in futuro, di vederla di nuovo nei panni di attrice?
Fino all’anno scorso ho fatto tappa in moltissime città con il monologo teatrale Mi amerò lo stesso, per l’appunto, che riprenderò a dicembre. La passione per la recitazione è nata quando ho conosciuto un’insegnante di teatro, Beatrice Bracco, che abbiamo perso qualche anno fa; avevo frequentato la sua accademia teatrale a Roma per un anno, poi ho avuto un grave incidente stradale ed è cambiato tutto. Si erano sviluppati un vero e proprio interesse e una curiosità nello studio dei vari attori e personaggi che mi avevano letteralmente incantata. Era – e lo è tutt’ora – una passione fortissima. C’è stato un periodo in cui facevo tantissimi provini: quindici giorni prima dell’incidente, ad esempio, ero a Cinecittà per un provino con Ettore Scola per un suo film, non mi prese. Poi, dopo l’incidente, ho dovuto interrompere questa esperienza che è stata unica e incredibile; nonostante tutto non ho mai smesso di amare il teatro! Negli anni ho capito che, personalmente, da attrice, preferisco il teatro al cinema. È come il live: c’è qualcosa che è unico, appartiene a quel momento e a quella sera, dunque non si ripeterà. Ci saranno, sì, repliche ma non di quel preciso istante. Registrare, dunque, non è una cosa che mi piace molto; per lo stesso motivo, amo più il live che fare i dischi.
Come abbiamo detto, di palcoscenici ne ha calpestati molti; stasera è la volta dello sferisterio di Macerata, in occasione delle serate finali di Musicultura. Prima di un’esibizione, per prepararsi a salire sul palco, ha qualche rito particolare?
No, non ho riti, non ci credo. Invece, credo nel riscaldamento della voce, negli esercizi e nel rimanere leggeri prima di un’esibizione: magari mi berrei anche un bicchiere di vino prima di salire. Per me, la componente più importante è la consapevolezza di quello che andrò a fare.