Per la prima volta a La Controra uno spettacolo interamente dedicato ai più piccoli: “I Bestiolini”, una rappresentazione di Gek Tessaro tratta dal suo omonimo libro. Con fantasia e simpatia, l’illustratore veronese ha trasformato il Lauro Rossi in un’enorme tela su cui tracciare forme colorate e segni luminosi. A poco a poco, un microcosmo di vite minute – quelle degli insetti – ha preso vita e il teatro è diventato un prato fiorito. Un suggestivo intreccio di immagini, musiche e storie, che ha coinvolto non solo i più piccini, ma il pubblico tutto. Le parole chiave? Curiosità, osservazione e tanta sensibilità.
Nell’intervista rilasciata alla redazione di Sciuscià, l’autore ci invita a riflettere sul nostro rapporto con il pianeta e con le specie che ci circondano. Racconta la sua visione di un mondo possibile, migliore, per ora soltanto sognato, abbozzato nell’immaginazione con pennelli e colori.
I protagonisti dell’opera presentata a La Controra sono gli insetti, quel microcosmo animale che si nasconde sotto ai prati, spesso temuto da adulti e bambini. Qui però si trasformano in simpatiche “bestioline”. Il modo con cui scegliamo di narrare il mondo che ci circonda quanto influenza il nostro rapporto con esso?
Lo può influenzare molto. Il nostro problema è che non siamo consapevoli del mondo che ci circonda, perché pensiamo di essere il centro del mondo. Di conseguenza, pensiamo agli esseri viventi intorno a noi come sgradevoli e fastidiosi. Facciamo una piccola riflessione: si sente dire spesso che, se mancassero le api, non mangeremmo più le mele e le arance. La verità è che, se mancassero le api, noi avremmo pochi anni di vita e a sparire non sarebbe la frutta, ma il genere umano. Se cominciassimo a vedere le cose da questo punto di vista, percepiremmo diversamente anche le api e ci accorgeremmo che mantengono in equilibrio l’ecosistema e in vita la specie umana. Pensare alle api come a dei “bestiolini” che danno fastidio, mordono, pungono, significa avere una visione distorta della realtà. Non ci rendiamo conto che stiamo distruggendo il pianeta. Il mio lavoro è mettere a fuoco, far vedere, far osservare le cose e il mondo da un altro punto di vista. L’umana specie ha questo grande problema: che ha un unico punto di vista, il proprio.
Nelle sue produzioni la parola chiave è curiosità, ma affinché ci sia questa è necessario fermarsi e saper osservare. Il mondo adulto però, preso dalla frenesia, ha un po’ perso questa capacità. Qual è il segreto per mantenerla viva?
Il segreto per mantenerla viva è molto semplice, è racchiuso nella riflessione che facevo prima sulle api. Ti faccio un altro esempio: ieri, mentre davo da bere ai fiori, mi sono accorto di avere un ragno sul braccio che cercava una via d’uscita; a un certo punto si è buttato sullo spruzzo dell’acqua, è precipitato dall’altra parte e poi ha cominciato a camminare tranquillamente. Ecco, se si osservano queste piccole cose, si comincia a pensare: “Sai che c’è, questa cosa qui è fantastica! Non so niente dei ragni, voglio saperne di più!”. È questo non saper niente – rendersi conto di non sapere niente e meravigliarsi del mondo che ci circonda – che può far nascere la curiosità.
Nelle sue rappresentazioni si intrecciano linguaggi diversi: immagini, narrazione e musica. Ce n’è uno in particolare che prevale sugli altri o sono tutti elementi imprescindibili?
Sono tutti elementi imprescindibili. La nostra vita, quella del pianeta, quella degli animali sono intrecci di elementi e linguaggi diversi: suoni, odori, sapori, colori, aria, freddo, caldo. La vita è questa cosa qui.
Quindi, quando si racconta una storia, bisogna includere tutti questi elementi complementari. Quando scrivo, penso alla musica, e quando penso alla musica ho già in mente quali parole scrivere e quali immagini proiettare. Senza la musica, le immagini non stanno su. Solo insieme, le due dimensioni acquistano senso e significato: è un unicum, un’unica narrazione che prende forma.
Le sue opere nascono dall’esigenza di comunicare qualcosa in particolare, una morale o un insegnamento? Se sì, cosa?
Preferirei che non fosse così, ma la verità è che ognuno di noi ha qualcosa da dire: qualcosa che non ci piace, che ci piace o che vogliamo comunicare. Se si ha il privilegio di poterlo fare su un palco o con un libro, sorge spontaneo dire qualcosa che si ha a cuore. Per cui, sebbene non sia la mia intenzione, è giocoforza naturale che io dica delle cose che toccano la mia sensibilità e fanno parte della mia vita.
Non vorrei mai fare prediche e non le faccio, ma inevitabilmente parlo dei temi che mi interessano e trovo importanti, sperando che tocchino anche le sensibilità altrui.
Dal suo sito web si legge che il suo teatro disegnato è destinato sia ai bambini che agli adulti. Secondo lei, c’è una distinzione tra spettacoli per adulti e spettacoli per bambini?
Le “cose per adulti” sono spesso e volentieri quelle di cui non si può parlare. C’è il cinema per adulti, per esempio, che parla di cose un po’ tristi. Ecco, per me l’unica differenza è questa: ci sono aspetti della vita dei grandi che i bambini non riescono a cogliere, e viceversa. Detto questo, però, l’idea di una separazione netta per età tra spettacoli per bambini piccoli, spettacoli per bambini più grandi e spettacoli per adulti, a mio parere non ha senso. È inutile tracciare confini. Io ho 60 anni e propongo ai bambini le musiche che piacciono a me, non quelle che secondo il senso comune sono adatte ai bambini. Non do loro caramelle né faccio versi buffi. Tendo ad annullare le distanze e a far sì che quello che racconto possa piacere sia agli uni che agli altri, a diversi livelli. Naturalmente racconto delle cose che possano far ridere i bambini, che vedono solo il ranocchietto che salta, ma nel testo si nasconde qualcosa che porta anche l’adulto a riflettere. Credo che nei libri ci siano diversi livelli di comprensione.