La ricordiamo tutti come il volto amatissimo di Disney Club che, insieme a quello di Giovanni Muciaccia, teneva migliaia di bambini incollati alla TV nei primi anni 2000. Poi è arrivato il lavoro come VJ per MTV Italia, che ha dato una svolta alla sua vita e accompagnato la crescita di un’intera generazione. Comincia così la carriera di Carolina Di Domenico nel mondo della conduzione televisiva e radiofonica, che si è intrecciata alla sua storia d’amore di vecchia data con la musica. A dare il la sono le occasioni colte al volo. Il resto è da scrivere, passo dopo passo, con serietà e competenza. Nell’intervista rilasciata alla Redazione Sciuscià, Carolina ci parla dell’importanza di trovare la propria strada, di essere riconoscibili e di capire facendo, lasciando dietro di sé una scia magica di risate e spontaneità.
Hai alle spalle una lunga carriera nella conduzione televisiva, radiofonica e nel mondo dello spettacolo in senso lato, ma, come dichiari spesso nelle interviste, hai cominciato un po’ per caso. Quando hai capito di voler trasformare la tua passione in una professione?
In realtà, il mondo dello spettacolo non era una mia passione; o meglio, lo era, ma dal punto di vista della produzione.
Ho studiato Scienze della Comunicazione e sicuramente quest’ambito mi interessava. Ma se alla fine del liceo o all’inizio dell’università mi avessero chiesto cosa volessi fare da grande, avrei risposto: “Produzione”. Poi, all’età di 19 anni, mi è capitata l’occasione di Disney Club, il primo programma televisivo che ho condotto assieme a Giovanni Muciaccia. Avevo iniziato a fare qualche lavoretto per mettere dei soldi da parte – facevo l’animatrice di feste per bambini – e un giorno un mio amico mi ha consigliato di iscrivermi a un’agenzia di pubblicità, dicendomi che mi avrebbe impegnato poco tempo e che sarebbe stato economicamente remunerativo. Quindi mi sono detta “facciamolo” e da lì è partito tutto. Però non era assolutamente previsto. Solo quando ho iniziato a lavorare, piano piano, ho capito che si sarebbe potuta trasformare in una professione. Ho avuto la fortuna di capirlo facendolo.
Sei passata dalla TV alla radio, due media diversi tra loro: il primo centrato sulla gestualità, l’immagine e l’occupare spazi; il secondo sulla voce, il suono e il riempire i silenzi. Come hai vissuto questo cambiamento e con quale dei due ti senti più a tuo agio?
Tra radio e TV cambia tutto. Quando ho cominciato a lavorare per MTV, il mio collega Federico Russo già lavorava per RDS e mi chiedeva spesso di andare a fare un provino in radio. Io che ho iniziato a fare questo lavoro unendo voce e immagine, ero terrorizzata all’idea di lavorare solo con la voce. Poi, 15 anni fa, io e mio marito abbiamo ideato un progetto che parlava di musica. Ho pensato potesse essere interessante e deciso di provare.
Anche in questo caso: lavorare, praticare, capire facendo. Funziona sempre. Abbiamo cominciato in una radio locale, dove eravamo molto liberi di sperimentare senza la pressione di un grande network. Col passare del tempo, è diventata una necessità. A differenza della televisione, secondo me, la radio diventa un bisogno quotidiano: una volta che instauri un rapporto giornaliero con il mezzo radiofonico, se smetti comincia a mancarti. La televisione, invece, su di me esercita un effetto diverso: mi piace tantissimo lavorarci, ma se smetto per un po’ non sento subito la mancanza di stare sul palco. Con la radio invece sì. Non so esattamente cosa scatti nel cervello di una persona, ma noto che tutti quelli che fanno radio dicono la stessa cosa. Evidentemente dev’esserci una magia – e forse anche un pizzico di egocentrismo legato all’ascoltare la propria stessa voce nelle cuffie – nel fare radio.
A proposito di radio, tutti i fine settimana conduci 610 con Lillo e Greg. Dagli scatti postati sui social si intuisce che insieme vi divertite parecchio. Com’è lavorare al fianco di due comici?
Io ho sempre condotto programmi musicali, per esempio Rock and Roll Circus su Radio 2.
L’occasione di lavorare con Lillo e Greg mi è capitata quattro anni fa. Li conosco fin dai tempi di Latte & i Suoi Derivati e sono da sempre una loro super fan, perciò cerco di rimanere tale e divertirmi anche a 610. Per esempio, quando possibile, evito di leggere in anticipo i loro sketch per mantenere l’effetto sorpresa da ascoltatrice. Il dramma è che durante le puntate rido così tanto che a volte non riesco ad andare avanti. Però, secondo me, la bellezza della radio sta proprio in questo: la spontaneità. È difficile programmare. Si hanno, naturalmente, dei punti di riferimento e una redazione che crea contenuti, però nessuno va a copione. Questo crea quella magia che ti permette di esprimerti in maniera spontanea.
Musicultura è un tassello che si aggiunge al vasto mosaico di programmi musicali condotti o commentati negli anni – MTV Day, The Voice, Eurovision Song Contest, Tim Music Awards, per citarne alcuni – e tu stessa sei una grande appassionata di musica. Che consiglio daresti ai giovani vincitori del Festival?
Di capire se c’è davvero spazio per loro in questo mondo.
Oggi tutti vogliono fare musica. Siamo in un momento difficile in cui sulla scena musicale c’è un enorme sovraffollamento. Avere la voce riconoscibile, e distinguibile da quella di altri, è fondamentale.Basta fare una prova: se canti di fronte a tre persone che non ti conoscono e riescono a distinguere la tua voce a occhi chiusi, allora sei sulla buona strada. Se io mi trovassi di fronte a qualcuno con una voce molto simile a quella di Emma o di qualche altro artista di grande successo, gli consiglierei di fare altro. La musica non è fatta solo di cantanti, ma anche di supporti, coristi, ovvero persone con delle bellissime voci che vanno in giro a cantare insieme agli altri. Poi, c’è il mondo degli autori: se scrivi delle bellissime canzoni, ma non sei un bravo performer, non salire sul palco, scrivi canzoni; potresti cederle alle corde vocali di un artista famoso e, così, guadagnare un sacco di soldi. Dietro la musica c’è tutto un mondo. Se vuoi fare il musicista, devi capire qual è la strada adatta a te e se la tua voce è riconoscibile. È fondamentale per non perdere tempo ed evitare tutte quelle frustrazioni che si vivono quando si fanno troppe cose e nessuna bene. Questo è il consiglio spassionato che darei ai vincitori di Musicultura.
Ti batti molto per i diritti dei lavoratori del mondo dello spettacolo e, in particolare, per l’attuazione dei decreti per l’indennità di discontinuità per artisti e tecnici.Quanta strada c’è ancora da fare su questo fronte e cosa significa per te questa battaglia?
Credo sia fondamentale impegnarsi su questo fronte. Chiunque abbia lavorato nel mondo dello spettacolo sa bene che ci sono dei periodi in cui si lavora tanto e dei periodi di pausa.
Basta pensare a una manifestazione come Musicultura: non è fatta di ieri e oggi, ma probabilmente di un anno di preparazione, e quell’anno dev’essere retribuito e riconosciuto. È arrivato il momento di impegnarsi, unirsi e battere i pugni. Un primo passo è stato fatto: c’è stato uno stanziamento di fondi, anche se non enorme. Ma non bisogna fermarsi, ora è il momento reclamarli a gran voce e chiedere l’attuazione dei decreti. Lo stanno facendo associazioni che si battono per questo come La musica che gira o Scena Unita. Molti artisti hanno portato il loro supporto. Io, ogni volta che posso, sottolineo l’importanza di questa battaglia. Quando in una manifestazione come questa si riesce a far esibire una band con un distacco di 3 minuti rispetto a quella precedente, è perché ci sono 15 persone che salgono sul palco e cambiano la scena. E questo lavoro immenso e prezioso va riconosciuto anche quando quelle persone non sono sul palco.
Il mondo fiabesco dei bambini è stato in qualche modo una costante nella tua vita: i primi lavori come animatrice, l’esordio a 19 anni con Disney Club, le serie TV per ragazzi. Oggi che sei due volte mamma, cosa diresti alla Carolina bambina?
Alla Carolina bambina direi “tira fuori la testa un po’ di più!”. Io sono sempre stata una bambina educata, che stava al suo posto, e questo ogni tanto mi ha portato a mettere da parte le mie esigenze. Quindi, tornassi indietro, forse mi direi “non stare zitta: se hai voglia o bisogno di qualcosa, dillo”. Però penso anche che finché sei bambino queste cose non le puoi capire: ci nasci, vai avanti così, poi fai analisi, rifletti su di te e cominci a tirare fuori tutto quello che hai tenuto dentro per anni. I bambini seguono il loro temperamento naturale. I genitori o chi li accudisce possono aiutarli, però credo che ognuno debba fare il suo percorso singolarmente, con i mezzi che ha e in cui crede. Prima o poi, l’occasione di affrontare quello che si ha dentro e avere un’evoluzione capita.